IL GIOCO - Parte II - Gioco e psicoanalisi


Il gioco secondo la psicoanalisi

Da un punto di vista psicologico il gioco ha una fondamentale importanza soprattutto nei primi movimenti di differenziazione tra me e non-me del bambino, e quindi nella costruzione del senso di realtà e del senso di

Il gioco, secondo lo psicoanalista D.W. Winnicott, si sviluppa nelle prime fasi di vita del bambino inizialmente proprio in quell’area potenziale tra il bambino e la madre (o altra figura significativa di cura), cioè all’interno di un’area che non ha a che fare né esclusivamente con il mondo interno del bambino né con la realtà esterna, in quell’area intermedia tra il mondo soggettivo del bambino ed il mondo oggettivo della realtà.

 - Il bambino infatti sperimenta all’inizio una condizione di fusione, in cui non differenzia ciò che arriva dal suo interno (sensazioni, fame, fantasie) da ciò che arriva dall’esterno (le cure materne, il seno che lo sazia, e la mamma che è disponibile a rendere reale per lui ciò che lui è pronto a scoprire). Il me e il non-me del bambino sono ancora indifferenziati. Egli sperimenta un senso di onnipotenza, di controllo magico, come se fosse egli stesso a creare gli oggetti, ad esempio come se fosse egli stesso a “creare” il seno della madre che gli “compare davanti” quando ha fame.

 - Progressivamente la madre inizia ad alternare (fornendo delle frustrazioni “ottimali”, cioè frustrazioni tollerabili dal bambino) ciò che il bambino si attende da lei con il suo essere reale, e in questo complicato “va e vieni” il bambino inizia a sperimentare un connubio tra l’onnipotenza dei processi intrapsichici ed il controllo reale che egli può esercitare sul mondo, ed è in quest’area che il gioco comincia. “La fiducia nella madre produce qui un’area di gioco intermedia, dove si origina l’idea del magico, poiché il bambino fa effettivamente esperienza, in qualche misura, dell’onnipotenza. […] Io chiamo questa un’area di gioco perché il gioco comincia qui. L’area di gioco è uno spazio potenziale tra la madre e il bambino, o che congiunge la madre e il bambino. [...] La cosa importante del gioco è sempre la precarietà di ciò che si svolge tra la realtà psichica personale e l’esperienza di controllo degli oggetti reali. Questa è la precarietà del magico stesso, magico che sorge nell’intimità, in un rapporto che si riconosce come attendibile.” (Winnicott, 1971, pag. 60). 

- Successivamente il bambino può stare anche da solo in presenza di qualcuno, in quanto egli sa che la persona che ama e che è attendibile, è disponibile e continua ad esserlo, e viene percepita come se rispecchiasse quanto avviene nel gioco, anche quando il bambino gioca da solo in sua presenza.

 

- Infine il bambino arriva a riconoscere la sovrapposizione delle due aree di gioco, quella propria del bambino e quella della mamma, e riesce a farne esperienza e a goderne. Se infatti prima la mamma si inseriva nei giochi del bambino, ora inizia lei stessa a proporne di nuovi, stando sempre attenta a come risponde il bambino all’introduzione di idee e giochi che non sono quelli giocati e scelti dal bambino. Inizia qui la possibilità di giocare insieme in un rapporto.

 

Ed è proprio in questo spazio, nell’area di sovrapposizione tra il gioco del bambino e quello dell’altra persona, che si possono introdurre degli arricchimenti, in modo da poter sostenere la crescita e lo sviluppo. Ed è quanto fanno normalmente i genitori sufficientemente buoni e, più tardi, gli insegnanti. In quest’area, all’occorrenza, può inserirsi anche un intervento terapeutico, che miri a rimuovere gli ostacoli allo sviluppo che possono manifestarsi, e che utilizzi il gioco in modo terapeutico.

Tuttavia, come ci ricorda Winnicott: “È bene ricordare che il gioco è esso stesso una terapia. Fare in modo che i bambini siano messi in condizione di giocare è di per sé una psicoterapia che ha applicazione immediata e universale, e include lo stabilirsi di un atteggiamento sociale positivo verso il gioco” (D.W. Winnicott, 1971, pag. 63). L’aspetto terapeutico del gioco si può vedere ad esempio quando vi compaiono degli aspetti paurosi, che il gioco ha proprio la funzione di tenere a bada. L’adulto può essere disponibile ad aiutare il bambino nella gestione di questi aspetti, ma senza sostituirsi al bambino, deve sostenere invece l’esperienza creativa del gioco stesso.

In psicoterapia naturalmente questi vissuti possono esprimersi e manifestarsi in modo più preciso e circostanziato nel gioco, ma dobbiamo ricordare che alla base di ciò troviamo un’esperienza creativa intensamente reale per il paziente: in esso il bambino (ma anche il paziente adulto) investe e manipola i fenomeni esterni al servizio di significati e sentimenti del mondo interno (sogni, fantasie, ecc.), muovendosi in un’area che non è la realtà psichica interna e, pur essendo fuori dall’individuo, non è nemmeno la realtà del mondo esterno. Un po’ come quando il bambino gioca con l’orsetto di peluche: sa che è solo un giocattolo e che non si è fatto male, tuttavia “sente” che si è fatto male e ne soffre e si preoccupa; egli mantiene la percezione della realtà e allo stesso tempo gli attribuisce sentimenti e significati del mondo interno: “senza allucinare, il bambino mette fuori un elemento del potenziale onirico, e vive con questo elemento in un selezionato contesto di frammenti della realtà” (D.W. Winnicott, 1971, pag. 64). Questo è un paradosso che deve essere accettato, tollerato, ma non risolto, ed è un paradosso che sta alla base della formazione dell’oggetto transizionale, e che secondo una linea di sviluppo diretta, porta in seguito alle esperienze del gioco, del gioco condiviso, e dell’esperienza culturale.

 

Gioco, creatività e psicoterapia

Il gioco quindi ha un ruolo fondamentale nella creazione non solo delle esperienze di gioco, ma anche della più ampia esperienza creativa e culturale, e dello stesso Sé.

Winnicott sostiene che “è nel giocare e soltanto mentre gioca che l’individuo, bambino o adulto, è in grado di essere creativo e di fare uso dell’intera personalità. Ed è solo nell’essere creativo che l’individuo scopre il ” (D.W. Winnicott, 1971, pag. 66).

Ciò mette in evidenza naturalmente lo spazio che il gioco in senso lato ha nella psicoterapia. Sostiene infatti Winnicott: “La psicoterapia ha luogo là dove si sovrappongono due aree di gioco, quella del paziente e quella del terapeuta. La psicoterapia ha a che fare con due persone che giocano insieme. Il corollario di ciò è che quando il gioco non è possibile, allora il lavoro svolto dal terapeuta ha come fine di portare il paziente da uno stato in cui non è capace di giocare a uno stato in cui ne è capace”. Il gioco in psicoterapia non ha quindi tanto a che fare con l’utilizzo di giocattoli (anche se, naturalmente, questi vengono utilizzati quando si lavora in terapia con i bambini), quanto con la capacità di rimanere in quell’area intermedia tra le cose concepite e le cose percepite, tra ciò che è dentro di me e ciò che è fuori da me, e rimanere qui in quest'area il tempo necessario per compiere un lavoro terapeutico e apportare degli arricchimenti positivi e duraturi.


BIBLIOGRAFIA
Winnicott D.W. (1971), "Gioco e realtà", Armando Editore, Roma, 2005.
Winnicott D.W.(1965) , "Sviluppo affettivo e ambiente", Armando Editore, Roma, 2015.
Winnicott D.W. (1987), "I bambini e le loro madri", Raffaello Cortina, Milano, 1996.