Mentalizzazione e genitorialità riflessiva: tenere a mente la mente del bambino


Cos'è la mentalizzazione?

La mentalizzazione è una attività mentale che ci permette di riconoscere e leggere i nostri comportamenti ed i comportamenti degli altri come risultato di stati mentali interni intenzionali, quali aspettative, bisogni, desideri, credenze, sentimenti, ecc.

 

È una funzione in larga parte automatica, residuo della nostra evoluzione: la possibilità di riconoscere in modo rapido e automatico se chi ci si trovava di fronte era un nemico da cui fuggire o combattere oppure un amico cui avvicinarsi era fondamentale per la sopravvivenza.

Ma è ancora adesso una funzione che ci consente di “dare un senso” al nostro mondo, di far si che i comportamenti nostri e altrui assumano un significato in termini di stati mentali intenzionali.

Se ad esempio qualcuno mi pesta il piede, posso essere in grado di leggere questa azione in base ai suoi possibili stai mentali e ipotizzare ad esempio se lo ha fatto intenzionalmente, guidato da qualche vissuto di rabbia nei miei confronti, o se lo ha fatto accidentalmente, e allora sarò io a trovarmi ad indagare i miei stati mentali, i miei sentimenti, le mie aspettative, che mi porteranno probabilmente a comprendere la situazione, a darle un significato, e a rispondere con un semplice “Non è niente, non si preoccupi”.

 

Possiamo quindi dire che la mentalizzazione è una attività mentale che consente di vedere se stessi “dall’esterno” e gli altri “dall’interno”, e ci consente quindi di cambiare prospettiva e di assumere anche quella degli altri.

 

La capacità di mentalizzare si sviluppa fin dalla primissima infanzia, all’interno delle relazioni di attaccamento con i genitori, secondo modalità tipiche che vedremo.

La capacità di mentalizzare – cioè, in estrema sintesi, di comprendere i propri comportamenti e quelli degli altri come risultato di stati mentali intenzionali propri e altrui - agisce sulla regolazione affettiva, sullo sviluppo del senso di Sé, e sulle competenze sociali presenti e future del bambino.

I bambini con maggiori capacità di mentalizzare sono maggiormente in grado di comprendere gli stati mentali e le emozioni in se stessi e negli altri e risultano essere più propensi a farsi coinvolgere in giochi positivi e di collaborazione, più inclini a usare il ragionamento per cercare di risolvere i conflitti o per cercare la riconciliazione in situazioni di aggressività, suscitano inoltre risposte più positive negli altri.

 

Genitorialità riflessiva: tenere a mente la mente del bambino

La mentalizzazione è una facoltà in parte innata negli esseri umani; ci sono tuttavia alcuni fattori che ne promuovono lo sviluppo.

Il fattore fondamentale che sostiene lo sviluppo della mentalizzazione è costituito dalla qualità dell’ambiente relazionale e di apprendimento sociale in cui ogni individuo cresce; in particolare il contesto familiare.

 

È infatti proprio qui, all’interno delle prime relazioni di attaccamento che emerge progressivamente la consapevolezza degli stati mentali propri e altrui. 

Quando i genitori prestano attenzione e rivolgono il loro interesse all’esperienza soggettiva del bambino, ma anche alle loro manifestazioni emotive rivolte alla mente del bambino e ai loro sentimenti, essi possono andare a sostenere lo sviluppo della mentalizzazione, della regolazione affettiva e delle capacità di autocontrollo.

I bambini piccoli infatti non hanno la capacità di esprimere le proprie emozioni, sentimenti o sofferenze. Sono quindi i genitori che devono essere in grado di interessarsi all’esperienza soggettiva e ai comportamenti dei bambini e di attribuire a questi un significato in termini di stati mentali sottostanti, mettendosi quindi momentaneamente “nei panni” del bambino piccolo ed immaginando l’esperienza soggettiva sottostante, per potergliela restituire.

Questa capacità può essere definita come genitorialità riflessiva: una posizione in cui si tiene a mente la mente del bambino.

“Si potrebbe dire che uno dei compiti più importanti dei genitori è quello di trasmettere la posizione mentalizzante e di aiutare i bambini a diventare consapevoli dei propri sentimenti e comportamenti, nonché a utilizzare la mentalizzazione per migliorare e approfondire le loro relazioni intime” (Midgley et al., 2019)

 

Rispecchiamento affettivo: marcato, contingente, congruente

Come sostenere lo sviluppo della mentalizzazione del riconoscimento del Sé e degli stati affettivi e dell’autoregolazione? Come aiutare i bambini a diventare consapevoli dei propri sentimenti e comportamenti e di quelli delle altre persone?

Il genitore potrebbe ad esempio fare ricorso al rispecchiamento affettivo, un rispecchiamento che consente al bambino di trovare nel genitore i propri stati mentali e le proprie emozioni, riflesse come in uno specchio, ma con modalità particolari: il rispecchiamento affettivo deve essere marcato, contingente e congruente. “Con ciò Fonagy e Allison (2014) intendono il modo in cui, nelle interazioni emotivamente salienti con il neonato, i genitori:

- rispecchiano parzialmente l’emozione del neonato, ma con un livello inferiore di intensità;

- in un modo che rispecchia con una certa accuratezza lo stato mentale del neonato (congruente);

- in maniera tempestiva, dopo la dimostrazione dell’emozione da parte del neonato (contingente); 

- la sottolineano, per esempio, con un’espressione o una vocalizzazione enfatizzata per indicare al neonato che hanno riconosciuto l’emozione (per esempio, paura o sofferenza), ma che non la stanno sperimentando allo stesso modo.” (Midgley et al., 2019)

 

 

Lo sviluppo della mentalizzazione nei bambini

Il normale sviluppo della capacità di mentalizzare segue un percorso tipico nei primi anni di vita del bambino.

Conoscere le tappe di sviluppo della mentalizzazione ci consente di intervenire quanto prima se un bambino si discosta eccessivamente dal percorso evolutivo che sarebbe normale aspettarsi, e di conseguenza ci consente di intervenire precocemente per favorire un migliore percorso di crescita e di sviluppo della mentalizzazione.

Dobbiamo però sempre ricordare che quando parliamo di sviluppo “normale” facciamo in effetti riferimento ad un percorso che può anche prevedere alcune deviazioni dalla norma, in quanto ogni bambino ha un suo tempo personale e unico di sviluppo. Quando però il divario dai tempi attesi diventa eccessivo e clinicamente significativo, può essere di aiuto ipotizzare un intervento, ad esempio con la Terapia Basata sulla Mentalizzazione per bambini time-limited (MBT-C time-limited).  

Le principali caratteristiche dello sviluppo della mentalizzazione nelle diverse fasce d’età sono:

 

Dalla nascita a 1 anno

I neonati già nei primi mesi di vita iniziano a differenziare le proprie emozioni in base principalmente alle reazioni fisiche di piacere o fastidio/dolore, e alle relative reazioni dei genitori.

I neonati sono già biologicamente predisposti alle interazioni e alle comunicazioni diadiche; sono in particolare sensibili alla comunicazione emotiva e sintonizzati sulle reazioni fisiche e facciali del genitore e sul suo tono di voce, e rispondono con disorientamento e malessere quando il genitore sembra perdere questa sintonizzazione e magari risponde in modo inappropriato ad una comunicazione (ad esempio ridendo quando il bimbo segnala sofferenza).

Dagli 8 mesi riescono ad instaurare un processo di attenzione condivisa, e pertanto riescono a seguire lo sguardo del genitore. Questo è importante non solo per lo sviluppo cognitivo, ma anche perché consente di gestire strategie di auto ed etero-regolazione, ad esempio spostando l’attenzione del bambino quando affronta uno stimolo spiacevole (es. distraendolo dirigendo congiuntamente l’attenzione al quadro nella stanza in cui l’infermiera gli sta facendo la puntura).

Già a partire dai 12 mesi il bambino è in grado di valutare se una situazione è o meno sicura osservando il genitore, ad esempio guardando se l’espressione del genitore in quel momento è tranquilla o preoccupata.

 

Da 1 a 3 anni

Tra i 15 e i 18 mesi si consolida nei bambini il sistema di attaccamento, che si sviluppa in base all’esperienza maturata nella relazione con il genitore. Sulla base di queste esperienze i bambini sviluppano un modello di risposta basato sull’aspettativa che la madre (o altro significativo) sia disponibile oppure non sia disponibile ad aiutarli a gestire e regolare la propria sofferenza, oppure che sia addirittura fonte di timore o di ulteriore sofferenza.

Dai 18 mesi si sviluppa una prima consapevolezza di sé, che viene testimoniata dalla capacità di riconoscersi nello specchio e dalla capacità di fare giochi di finzione.

Il gioco di finzione consente al bambino di “mettere in pausa la realtà” e di imparare qualcosa sulla realtà mentale. Su questo terreno si sviluppa anche l’apprendimento degli stati mentali e delle abilità di regolazione affettiva e dell’empatia. Il gioco di finzione inoltre aiuta a dare un senso all’esperienza e alle reazioni proprie e altrui, facilitando in tal modo l’autoregolazione.

I bambini quindi imparano a pensare in termini di stati mentali nelle famiglie che sostengono questi processi: “Probabilmente senza pensarci in modo consapevole, i genitori riflessivi insegnano al proprio bambino a adottare a sua volta una posizione mentalizzante durante varie situazioni quotidiane, per esempio quando il genitore commenta la reazione emotiva di un personaggio di un libro o approfitta di una lite tra fratelli per insegnare al bambino a immedesimarsi nell’altro” (ibidem).

In questo periodo emergono e si sviluppano inoltre le capacità linguistiche e le capacità cognitive. Diventa quindi possibile per il bambino comunicare e discutere di sentimenti e stati mentali, propri e altrui, la conoscenza delle emozioni diventa non più solo implicita ma sempre più consapevole, e diventa possibile riconoscere le espressioni facciali connesse alle emozioni di base (felicità, tristezza, paura, rabbia).

 

Dai 3 ai 4 anni

In questa fascia d’età i bambini iniziano a capire come potrebbero sentirsi gli altri, quali emozioni potrebbero provare, e possono iniziare a prevedere come potrebbe reagire l’altro in base a quanto sanno sugli stati mentali dell’altro (ad esempio sulle sue preferenze, intenzioni, desideri). 

Il pensiero si fa progressivamente meno egocentrico, ed i bambini in questa fase iniziano a capire che l’altro potrebbe non sentire le stesse cose che sentono loro, e possono iniziare ad immaginarne le emozioni. 

I termini “pensare” e “conoscere” iniziano a comparire nel lessico dei bambini in questa fase, segnalando una crescente consapevolezza di Sé.

 

Dai 4 ai 5 anni

I bambini iniziano a sviluppare la capacità di immaginare e rappresentarsi anche la prospettiva di qualcun altro, dimostrando di iniziare a superare sempre di più la precedente visione egocentrica. 

Sono ad esempio in grado di superare il compito delle false credenze, e quindi non si aspettano più che gli altri abbiano sempre le medesime informazioni e le stesse sensazioni o emozioni che hanno loro: se ad esempio gli si mostra che Anna sposta il gioco di Carlo dal cassetto allo zaino, e poi si chiede loro dove lo cercherà Carlo quando ritornerà nella stanza, si potrà osservare che in questa fascia d’età potranno rispondere correttamente “nel cassetto”, riconoscendo che Carlo avrà delle false credenze non avendo visto - come invece hanno visto loro - lo spostamento del gioco dal cassetto allo zaino.

Inoltre in questa fase i bambini iniziano a descriversi, anche se per ora solo con le caratteristiche fisiche e preferenze, segnalando come vada man mano consolidandosi il senso del Sé.

 

Dai 5 ai 6 anni

Questa è l’età in cui si entra a scuola: i bambini si trovano quindi a rispondere a nuove richieste nelle interazioni con gli altri, a gestire i primi problemi di esclusione o accettazione, a dover comprendere le regole sociali.

La crescente consapevolezza e integrazione del senso di Sé è testimoniata dalla loro capacità di descriversi ora in modo più complesso e in termini di esperienze personali, anche grazie allo sviluppo della memoria autobiografica. 

Grazie alla possibilità di rappresentare ricordi di sé e degli altri, possono sviluppare un senso di continuità del Sé, e promuovere lo sviluppo e l’integrazione dell’identità.

 

Dai 6 ai 7 anni

Dopo aver sviluppato la comprensione emotiva nel periodo prescolare, i bambini della scuola primaria iniziano a consolidare la capacità di mentalizzare, e iniziano a prevedere come si sentiranno loro stessi e gli altri in situazioni diverse, pur con l’aiuto ancora necessario degli adulti.

Inizia ad emergere una capacità di fare riferimento a emozioni che richiedono una autovalutazione (es. colpa, vergogna), indice di comprensione degli aspetti di valutazione sociale e delle norme, ed inizia a comparire la capacità di modificare l’espressione di alcuni sentimenti per non ferire gli altri.

Anche la consapevolezza del sé si fa più ricca e porta alla possibilità di descriversi anche facendo riferimento ad alcune qualità personali.

 

Dai 7 ai 12 anni

La mentalizzazione si fa man mano più elaborata: i bambini in questa fascia d’età riescono a pensare a sé e agli altri in termini di stati mentali e qualità personali, possono descrivere la propria personalità, o descrivere le proprie figure di attaccamento citandone le peculiarità.

I bambini di questa età dovrebbero ormai essere in grado di dire ciò che provano ed esprimere emozioni complesse, miste e ambivalenti, e dovrebbero allo stesso modo essere anche in grado di comprendere reazioni interpersonali più complesse.

Le descrizioni di Sé si fanno più coerenti e integrano meglio i ricordi autobiografici, iniziando inoltre a prendere in considerazione sia gli aspetti positivi che ora anche quelli negativi del Sé e a differenziare tra Sé autentico e Sé ideale. 

Aumenta la consapevolezza che si possono avere Sé diversi in diversi contesti (ad esempio con i genitori o con gli amici), anche se non sono ancora in grado di spiegarne le modalità e come questo si leghi ad un senso di Sé comunque coerente.  (Midgley et al., 2019)

 

 

Queste sono dunque le tappe principali di sviluppo della mentalizzazione. Quando però qualcosa non funziona nel processo di sviluppo della mentalizzazione, quando si sviluppa una mentalizzazione deficitaria o fallimentare, l'intervento psicoterapeutico con il bambino e/o con i genitori può essere fondamentale per ripristinare o avviare le capacità mentalizzanti, e aiutare il bambino a riprendere al meglio il suo percorso di crescita.

 

 

 

BIBLIOGRAFIA

·       Fonagy P., Target M. (2001), “Attaccamento e funzione riflessiva”, Raffaello Cortina Editore, Milano

·       Midgley N., Ensink K., Lindqvist K., Malberg N., Muller N. (2019), “Il trattamento basato sulla mentalizzazione per i bambini. Un approccio time-limited”, Raffaello Cortina Editore, Milano



Foto di Anastasia Gepp da Pixabay