IL GIOCO - Parte III - Gioco e apprendimento

 

Come abbiamo visto (“Il gioco” parte I e parte II), il gioco aiuta i bambini a sviluppare diverse abilità di base: favorisce lo sviluppo sensomotorio, aumenta le abilità cognitive, sostiene lo sviluppo della capacità di regolazione emotiva e la riduzione dello stress, sostiene le abilità relazionali e sociali, accompagna la prima differenziazione me e non-me del bambino, da cui origina il , apre alla creatività.

Ma non è tutto. L’attività ludica, se alternata e integrata nelle attività di apprendimento curricolari, soprattutto nei primi gradi di istruzione, favorisce l’apprendimento stesso, in particolare nella fascia d’età che va dai 3 ai 10 anni.

 

Quale tipo di gioco per favorire l’apprendimento?

È soprattutto il gioco guidato dall’adulto (guided play) che si rivela utile, quello in cui è l’adulto che introduce il gioco e ne indirizza il processo didattico, accompagnando il bambino verso la scoperta e l’acquisizione degli obiettivi precedentemente definiti (Skolnik Weisberg et al., 2013). È quindi un gioco diverso sia dal gioco libero (in cui il bambino decide l’attività e modalità di esecuzione), sia dall’apprendimento direttivo (in cui è l’adulto a definire scopi e modalità).

Punto di forza del gioco guidato è il fatto che il bambino possa assumere un ruolo attivo. Ciò fa sì che si senta più coinvolto e partecipe, senta di avere il controllo sulla situazione, incrementando così la percezione di autoefficacia e mantenendo l’attenzione e la motivazione sul compito, riuscendo così a raggiungere risultati migliori. La guida dell’adulto, inoltre, non gli fa perdere di vista l’obiettivo, ma lo indirizza attraverso domande, esplorazione del materiale, commenti.

Le ricerche sul gioco e sulla percezione delle maestre

Il ruolo svolto dal gioco anche negli apprendimenti sembra sottovalutato, al punto che sembra esserci un decremento nella predisposizione di momenti ludici.

L’importanza del gioco è invece chiaramente percepita da molte maestre della scuola materna che, come risulta da una ricerca di Lynch (2015), vorrebbero proporlo con maggior frequenza, e invece incontrano l’opposizione di dirigenti scolastici, docenti di scuole elementari e medie, e genitori: questi spingono affinché si abbandonino le attività ludiche per ritornare invece ai più classici esercizi carta e matita, principalmente a causa del timore che i bambini arrivino impreparati alla scuola elementare.

A sostegno dell’importanza del gioco troviamo però le più recenti ricerche (Eberle, 2011; Lynch, 2015), che evidenziano invece come gli apprendimenti siano favoriti dall’attività ludica, in quanto essa:

- sostiene la motivazione e la percezione di autoefficacia;

- favorisce le funzioni esecutive;

- favorisce lo sviluppo delle abilità di manipolazione;

- incrementa la creatività;

- migliora le abilità sociali e la cooperazione;

- facilita lo sviluppo delle competenze emotive;

- migliora lo sviluppo cognitivo e le abilità di problem-solving;

- migliora la memoria di lavoro;

- incrementa il vocabolario e le abilità linguistiche.

Il fatto inoltre che il “gioco”, inteso in senso psicoanalitico, sia così strettamente in relazione con la costruzione del sé, ci porta a riflettere anche sul ruolo che esso svolge in un sano sviluppo psicologico e della personalità del bambino.

Come aiutare i bambini a “giocare bene”?

Come offrire quindi al meglio questa seria opportunità di sviluppo attraverso il gioco ai bambini?

1. Riconoscere le funzioni del gioco e giocare

Ormai le ricerche lo sottolineano, e molti già lo intuivano: il gioco è fondamentale, e va sostenuto sia in ambito scolastico che familiare.

I genitori più consapevoli dell’importanza del gioco nello sviluppo risultano anche più partecipi al gioco dei bambini, lo propongono e lo guidano più spesso, andando così a sostenere in modo più incisivo e consistente gli apprendimenti e lo sviluppo dei loro bambini.

I genitori se vogliono sostenere l’apprendimento devono però riuscire ad essere in alcuni momenti qualcosa di più di un semplice compagno di giochi, e partecipare attivamente al gioco, guidandolo e sostenendo e garantendo condivisione e attenzione. Naturalmente ciò non significa trasformare ogni momento ludico e di divertimento in un “lavoro” di crescita e apprendimento.

2. Il giusto tempo per ogni gioco

Perché il gioco possa essere utile, ci deve essere un uso equilibrato e opportunamente alternato del gioco libero e del gioco guidato. Anche il gioco libero ha le sue funzioni nello sviluppo del bambino, anche al di fuori del contesto di apprendimento. È necessario infatti che il bambino possa riscoprire anche il Sé attraverso quello spazio potenziale di gioco, quello spazio tra il sé e il mondo esterno, in cui trova posto anche la sua creatività.

Gli adulti (genitori, nonni, educatori) possono quindi sostenere le funzioni del gioco anche introducendo il bambino alle varie forme di gioco libero o guidato, di esercizio, simbolico o sociale, in base al suo livello di sviluppo.

3. La spirale di gioco

Per favorire l’apprendimento, Mourao (2015) propone la “spirale di gioco”, che prevede che si inizi con una attività strutturata dall’adulto (utile a introdurre i concetti), si proceda con il gioco libero (utile per consentire al bambino di sperimentarsi con i nuovi concetti e anche di sbagliare e ricominciare), si continui con un’altra attività strutturata dall’adulto (per consolidare i concetti e l’esperienza acquisita nel gioco) e si concluda con altri giochi in cui l’adulto si pone come mediatore di apprendimento, guidando il gioco, proponendo modalità, materiali, strategie di gioco.

L’applicazione di questa tecnica dà risultati molto positivi, grazie al coinvolgimento diretto dei bambini che possono sperimentare e procedere “per prove ed errori”, e fare esperienza diretta dei concetti.

4. Inserire degli arricchimenti nell’area potenziale del gioco

Dal punto di vista psicoanalitico l’area di gioco è un’area potenziale tra il bambino e la mamma (o altro significativo), che si colloca tra il percepito e il concepito, tra la realtà esterna ed il mondo interno del bambino. Qui si forma, come abbiamo visto, la prima differenziazione tra me e non-me del bambino, ed è da qui che si strutturerà il Sé.

Nell’area del gioco quindi troviamo un’area di esperienza umana che esiste nella realtà condivisa, che non è completamente dentro il bambino né fuori di lui. Ed è in quest’area che quindi possiamo collocare l’apprendimento nel senso più esteso del termine, e che passa attraverso la relazione. È proprio in questo spazio, infatti, nell’area in cui si sovrappongono le aree di gioco del bambino e quella dell’adulto, che possiamo introdurre degli arricchimenti, in modo da poter sostenere la crescita e lo sviluppo. Qui pertanto genitori, insegnanti e, all’occorrenza, psicoterapeuti, possono inserirsi per favorire lo sviluppo e gli apprendimenti.

Purché, però,  ci si ricordi sempre che “Il bambino non è un vaso da riempire, ma un fuoco da accendere” (François Rabelais).