Dott.ssa Erika Debelli 

Psicologa Psicoterapeuta


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Akoé Psicologia e Psicoterapia

 

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Lo stress

“I fallimenti ambientali non sono puramente impressi su un organismo passivo, ma sono esperiti e riempiti di significato dall’individuo che ne soffre. La psicoterapia si occupa del modo in cui lo stress è mediato psicologicamente (perché una certa persona soccombe mentre un’altra sopravvive) e (alterando la comprensione psicologica e l’attribuzione di significato) del cambiamento non dei fatti storici, ma del loro contesto e del loro significato”.

[J. Holmes,1993]

Definizione di stress

Il termine “stress” è stato introdotto inizialmente nell'ambito medico da Hans Selye nel 1956. Egli lo utilizzò per indicare una reazione aspecifica dell’organismo di fronte a determinate richieste che arrivavano dall’ambiente (stimoli stressogeni o stressor) di diversa natura (fisica, emotiva, chimica, ecc.). Egli aveva mutuato questo termine dalla nascente industria inglese, dove con tale termine veniva indicata la resistenza delle strutture metalliche all’applicazione di determinate forze.

Il concetto di stress, partendo da questa iniziale descrizione, si è andato successivamente sempre più definendo e delineando, ma l'elemento centrale che definisce lo stress è la presenza di una interazione dinamica tra ambiente e individuo, in cui l’ambiente (fisico, relazionale, emotivo, ecc.) esercita una pressione sull’individuo.

 

Abbiamo quindi una dinamica che coinvolge tre componenti, in interazione reciproca:

- l’individuo: che risponderà allo stressor in base alla sua personale dotazione di competenze e capacità di adattamento e fronteggiamento, o di difficoltà e vulnerabilità, maturate anche in base alla sua storia personale e alle sue precedenti esperienze;

- lo stressor: termine che indica ogni stimolo per mezzo del quale l’ambiente agisce sull’individuo. Lo stimolo agirà in modo diverso e produrrà esiti diversi in base alla tipologia (gli stressor possono essere fisici, psichici, ambientali, sociali), all’intensità, alla frequenza, durata, prevedibilità o evitabilità dello stimolo, o in base al grado di novità che lo stressor rappresenta per l’individuo;

- l’ambiente: il luogo in cui individuo e stressor si incontrano; non necessariamente riferito ad un ambiente fisico, può coinvolgere anche un ambiente “psichico”, emotivo. L’ambiente può fornire anche elementi di riduzione di eventuali stimoli stressogeni (ad esempio come l’ambiente sociale, che offre anche supporto e comprensione all’individuo nell’affrontare lo stress).

 

 

Lo stress è sempre nocivo?

Contrariamente a quanto si potrebbe pensare di primo acchito, lo stress non sempre è nocivo e non è sempre connesso a conseguenze patologiche; in alcuni casi esso può addirittura costituire un propulsore di cambiamento, un attivatore di risposte creative.

Lo stress può essere infatti definito come un termine di per sé neutro, che non rimanda necessariamente né ad una esperienza positiva né ad una esperienza negativa, ma solo ad una esperienza di pressione (=stress) sull’individuo, pressione che lo spinge verso una successiva modifica del suo equilibrio (intrapsichico o interpersonale, ambientale, ecc.). 

Se analizziamo invece lo stress per la sua valenza positiva o negativa, possiamo fare riferimento a due tipologie di stress: l’eustress (o stress positivo) ed il distress (o stress negativo). Pertanto:

- eustress (o stress positivo) si ha quando una richiesta dell’ambiente o una pressione esterna ci spinge ad attivare delle risorse utili per rispondere alla richiesta dell’ambiente, per risolvere il problema, per ridurre la pressione. Lo stress in questo caso è uno stimolo ambientale sentito come tollerabile, positivo, utile all’individuo, spinta ad adattarsi o ad attivarsi per raggiugere nel modo più agevole l’obiettivo.

- distress (o stress negativo) si ha quando lo stimolo ambientale non può spingere l’individuo verso un adattamento o una risoluzione del problema in quanto lo stressor supera le capacità dell’individuo di affrontarlo. L’elemento ambientale stressogeno (stressor) può essere percepito come eccessivo soggettivamente (perché ad esempio è superiore alle risorse che il soggetto ritiene di avere a disposizione e a cui sente di poter accedere) oppure oggettivamente (perché ad esempio è di una gravità e peso tali da essere di difficile gestione).

Quindi si può facilmente intuire come quello che nel linguaggio comune viene definito “stress” si riferisca in realtà a quanto più correttamente andrebbe definito come “distress”, cioè a tutte quelle situazioni nelle quali degli elementi di stress eccessivi (eccessivi in senso soggettivo, per percepita carenza di risorse personali, e/o in senso oggettivo, per “peso” eccessivo dello stressor) sembrano superare le capacità del soggetto di affrontarli e di gestirli adeguatamente.

Quando questi stressor non possono essere gestiti, allora il soggetto percepisce un disturbo che se perdura provoca nel tempo una erosione progressiva delle risorse dell’individuo, della sua quotidianità, e un suo indebolimento con rottura delle difese psicofisiche. Può accadere quindi che insorgano sensazioni di disagio che possono evolvere fino a sfociare, in determinate condizioni, in risposte patologiche allo stress o in vere e proprie patologie legate allo stress, con manifestazioni sia sul piano psichico che sul piano fisico.

 

 

Quando lo stress è nocivo. Le risposte patologiche allo stress

La possibilità di rispondere in modo adeguato e adattivo ad un elemento di stress si basa quindi su due tipi di valutazioni:

- una valutazione di tipo soggettivo: deriva dalla storia personale dell’individuo, dalle sue competenze e vulnerabilità acquisite (es.: dispongo di tutte le risorse per fronteggiarlo? Ho le competenze per farlo? Ho gli strumenti? L’ho già fronteggiato positivamente nel passato? L’ho subito negativamente nel passato? Ecc.), dall'immagine di sé, ecc.;

- una valutazione di tipo oggettivo: deriva dalla valutazione dello stressor in termini oggettivi (intensità, durata, persistenza, peso, ecc.).

Sulla base delle valutazioni espresse (in modo più o meno consapevole) si attiveranno quindi delle risposte volte ad analizzare, pianificare e risolvere le situazioni problematiche. Attraverso le strategie di coping si attiveranno quindi delle risposte utili a gestire sui diversi piani (emotivo, cognitivo, comportamentale) le richieste interne o esterne che vengono valutate come eccessive.

Quando però le risposte che vengono attivate non riescono a far fronte alla situazione problematica generata dallo stressor, allora si possono instaurare delle reazioni non più fisiologiche ma patologiche allo stress.

 

Il rischio di risposte patologiche può essere amplificato da tre fattori:

- intensità dell’evento stressante; 

- frequenza con cui esso si ripete; 

- durata prolungata di esposizione allo stressor.

Perché però di fronte ad eventi che hanno le stesse o simili caratteristiche in termini oggettivi, di intensità, di frequenza, di durata (es. stesso carico lavorativo eccessivo all'interno dello stesso ufficio, o stessa esperienza di terremoto, o stessa ripetuta esperienza di bullismo, ecc.) due soggetti che le esperiscono possono manifestare reazioni anche diametralmente opposte, con una risposta adattiva e sana per una persona, e una risposta disfunzionale o patologica per l'altra? Entrano qui in gioco i fattori soggettivi. 

Il modo in cui ogni persona risponde agli stressor dipende da elementi soggettivi e individuali, quali ad esempio la struttura di personalità, la sua storia personale, lo stile di attaccamento, le strategie di coping apprese, la sua percezione di avere disponibili delle risorse (personali, relazionali, emotive, cognitive sociali, ecc.) o di avere delle aree di vulnerabilità, ecc. Il modo in cui reagiamo agli stimoli è quindi molto in relazione con il bagaglio che portiamo con noi e con come questo ci consente di “leggere” quanto accade, dal sistema di significati che riusciamo a costruire, da come “riorganizziamo” e “risignifichiamo” su un piano interno gli eventi, da come interpretiamo quanto accade non solo nel mondo esterno ma anche nel mondo interno. 

Come ci ricorda F. de Zulueta (2009) “l'essenza della nostra umanità sta nel fatto che investiamo di significato tutte le nostre esperienze e che il modo in cui interpretiamo le esperienze ha un effetto diretto sul modo in cui reagiamo al trauma. Così, mentre siamo entità psicobiologiche, con tutto ciò che questo significa in termini di bisogni fisici, pattern di comportamento, genetica e biochimica, cosa facciamo e cosa non facciamo è anche intrinsecamente collegato a come percepiamo il mondo attorno a noi”.

Il piano soggettivo, il mondo dei significati, dei vissuti, sarà quindi quello cui ci rivolgeremo per indagare e affrontare eventuali risposte patologiche allo stress. 

 

Le risposte patologiche allo stress possono manifestarsi sia sul piano fisico (es. disturbi quali coronaropatie, ulcera peptica, cefalee, colite ulcerosa, sono considerati fortemente correlati allo stress; così come il crollo delle difese immunitarie e il conseguente insorgere di una generale vulnerabilità alle malattie), sia sul piano psichico (es. disturbi ansiosidisturbi depressivi, disturbo post traumatico da stress, disturbi dell’adattamento).

In particolare per quanto riguarda i disturbi stress correlati, ne ricordiamo brevemente alcuni:

- Disturbo dell’adattamento: si tratta di un disturbo di lieve o moderata entità che si manifesta con sintomi di tipo ansioso o depressivo in relazione ad un evento significativo, evento che è stato chiaramente la causa dello sviluppo della sintomatologia;

- Disturbo acuto da stress: rappresenta la risposta sintomatologica acuta ad un evento stressante molto grave. La sua insorgenza corrisponde alla fase acuta, ed è quindi immediatamente successiva all’esposizione all’evento stesso, nel periodo che va dai 3 giorni al primo mese successivo all’evento. I sintomi possono poi perdurare nei mesi successivi al periodo di insorgenza del disturbo, fino a sei mesi.

- Disturbo post traumatico da stress (PTSD): in estrema sintesi (con il rischio di essere troppo riduttivi, rimandando pertanto per approfondimenti ad altre pagine del sito) si può definire come una manifestazione psicopatologica grave e persistente, caratterizzata da un insieme di sintomi (es. flashback, incubi, attivazione neurovegetativa, dissociazione, disturbi dell’umore, ecc.) che derivano dall’esposizione ad un evento traumatico grave, in cui vi è stata una seria minaccia per la propria vita o per quella degli altri.

 

 

La gestione dello stress

Lo stress, quando lo si considera nella componente di “stress negativo” (distress) può essere causa di notevole sofferenza soggettiva, che si manifesta anche attraverso sintomatologie chiare e riconoscibili. 

Il livello di disagio può essere variabile, in quanto in esso concorrono, come abbiamo visto, elementi oggettivi (tipo di stress, durata, frequenza, intensità) ed elementi soggettivi (disponibilità di risorse e competenze nell’individuo, percezione di disponibilità di tali risorse e percezione di autoefficacia, storia personale, precedenti esperienze di successo/fallimento in situazioni simili, significazione dell’evento, ecc.).

Il disagio soggettivo legato ad uno stress non va sottovalutato, in quanto se perdura nel tempo e non si riescono a mettere in moto delle risposte adattive di gestione dello stress, allora si potrebbe correre il rischio di una cronicizzazione della sintomatologia o delle risposte patologiche allo stress.

Come intervenire?

Se riconsideriamo i tre vertici in interazione reciproca che avevamo osservato all’inizio (individuo – stressor – ambiente), possiamo dire che sull’evento stressante in sé (lo stressor) non sempre si può intervenire: gli stressor si incontrano in diversi momenti e situazioni della propria vita, e non sempre sono evitabili o modificabili. Possiamo però osservarne le caratteristiche per raccogliere informazioni e vedere come interagiscono con gli altri vertici. Se ad esempio lo stressor è la situazione di divorzio che dobbiamo affrontare, possiamo osservarne le diverse componenti oggettive e vedere come ciò che attivano poi sul piano interno, ma riconoscendo anche gli elementi supportivi ambientali (es. un buon legale, la rete familiare) o di fragilità (es. isolamento sociale) per poter intervenire in modo più mirato, ove possibile. 

Per quanto riguarda il secondo vertice, l'ambiente, ne avevamo già riconosciuto il possibile ruolo favorevole nella gestione degli stressor, ad esempio facendo riferimento ad un ambiente sociale (es. amici, parenti, conoscenti) supportivo e contenitivo (es. amici, parenti). ma anche un ambiente che offre risorse di diverso tipo (es. supporto legale). È quindi importante poter riconoscere queste risorse, affidarvisi e coltivarle. Nel caso non fosse disponibile una rete sociale supportiva, è possibile affidarsi ad altri tipi di reti supportive, di tipo più formale (es. nelle associazioni, nell’automutuoaiuto, nel supporto professionale).

Il terzo vertice riguarda l'individuo, ed è qui che possiamo pensare di agire maggiormente in senso psicologico. Se ogni individuo risponde allo stressor in base alla propria personale struttura di personalità, alla dotazione di competenze o di vulnerabilità, esito della storia personale e delle esperienze precedenti, e in base alle strategie di coping di cui dispone, allora possiamo pensare di partire nella gestione dello stress e dello stressor proprio dalla valutazione di questi aspetti, per poi da qui iniziare un intervento costruito “su misura”. Quindi se per qualcuno sarà sufficiente un lavoro sullo sviluppo strategie di coping più adattive e sullo sviluppo delle risorse personali, per altri sarà invece necessario un lavoro più centrato sulla storia delle vulnerabilità acquisite nel proprio passato, oppure sull’autoefficacia; per altri ancora sarà sufficiente un supporto per affrontare un temporaneo disturbo acuto da stress o un momentaneo disturbo dell'adattamento, mentre per altri soggetti esposti a stress più pesanti, persistenti, frequenti e duraturi potrà essere necessario un percorso di psicoterapia per ristabilire quell’equilibrio personale che l’evento stressante ha traumaticamente messo in crisi.

Ogni percorso parte naturalmente da una valutazione dell’individuo e delle sue risorse, pertanto ogni percorso sarà sempre unico, adatto a quella singola persona, basato sulle sue specifiche caratteristiche, e gli consentirà sulla base della propria personale storia, dotazione, struttura, di maturare le modalità di gestione e di elaborazione dello stress più adattive e, soprattutto, efficaci.

10 marzo 2018


 

 

 

BIBLIOGRAFIA 

  • A.P.A. - American Psychiatric Association, (2013), “DSM-5 - Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders – Fifth Edition”, American Psychiatric Publishing, Washington DC.
  • AA. VV., (2008), “PDM – Manuale Diagnostico Psicodinamico”, Raffaello Cortina Editore, Milano.
  • De Zulueta F. (2009), “Dal dolore alla violenza”, Raffaello Cordina Editore, Milano.
  • Reale E. (2011), "Maltrattamento e violenza sulle donne. Vol. II - Criteri, metodi, e strumenti per il lavoro clinico", FrancoAngeli, Milano.
  • Selye H. (1956), "The stress of life", McGraw-Hill, New York (trad.it. Einaudi, 1957).

 

 

Il presente articolo è puramente informativo e non sostituisce la diagnosi di uno specialista. I contenuti sono descrittivi e rappresentano solo una breve e non esaustiva sintesi di alcuni aspetti clinici coinvolti nei disturbi trattati.