“Non esiste vento favorevole per il marinaio che non sa dove andare”. (Seneca)
Il termine “stress” è stato introdotto inizialmente nell'ambito medico da Hans Selye nel 1956. Egli lo utilizzò per indicare una reazione aspecifica dell’organismo di fronte a determinate richieste che gli arrivavano dall’ambiente, richieste che costituivano quindi i possibili stimoli stressogeni (stressor) di diversa natura (fisica, emotiva, chimica, ecc.). Egli aveva mutuato questo termine dalla nascente industria inglese, dove con tale termine veniva indicata la resistenza delle strutture metalliche all’applicazione di determinate forze.
Il concetto di stress, partendo da questa iniziale descrizione, si è andato successivamente definendo maggiormente. Si è arrivati così a definire lo stress come una interazione dinamica tra ambiente e individuo, in cui l’ambiente esercita una pressione sull’individuo.
Abbiamo quindi una dinamica che coinvolge tre componenti, in interazione reciproca:
Contrariamente a quanto si potrebbe pensare di primo acchito, lo stress non sempre è nocivo e non è sempre connesso a conseguenze patologiche; in alcuni casi esso può addirittura costituire un propulsore di cambiamento, un attivatore di risposte creative.
Lo stress può essere infatti definito come un termine di per sé neutro, che non rimanda necessariamente né ad una esperienza positiva né ad una esperienza negativa, ma solo ad una esperienza di pressione (=stress) sull’individuo, pressione che lo spinge verso una successiva modifica del suo equilibrio (intrapsichico o interpersonale). Ma all’interno del concetto di stress possiamo ritracciare due tipologie di stress, caratterizzati invece da connotazioni positive o negative: l’eustress (o stress positivo) ed il distress (o stress negativo). Pertanto:
Quindi si può facilmente intuire come quello che nel linguaggio comune viene definito “stress” si riferisca in realtà a quanto più correttamente andrebbe definito come “distress”, cioè a tutte quelle situazioni nelle quali degli elementi di stress eccessivi (eccessivi in senso soggettivo, per carenza di risorse personali, e/o in senso oggettivo, per “peso” eccessivo dello stressor) sembrano superare le capacità del soggetto di affrontarli e di gestirli adeguatamente.
Quando questi stressor non possono essere gestiti, allora il soggetto percepisce un disturbo che se perdura provoca nel tempo una erosione progressiva delle risorse dell’individuo, della sua quotidianità, e un suo indebolimento con rottura delle difese psicofisiche. Può accadere quindi che insorgano sensazioni di disagio che possono evolvere fino a sfociare, in determinate condizioni, in risposte patologiche allo stress o in vere e proprie patologie legate allo stress, con manifestazioni sia sul piano psichico che sul piano fisico.
La possibilità di rispondere in modo adeguato e adattivo ad un elemento di stress si basa quindi su due tipi di valutazioni:
- una valutazione di tipo soggettivo: deriva dalla storia personale dell’individuo, dalle sue competenze e vulnerabilità acquisite (es.: dispongo di tutte le risorse per fronteggiarlo? Ho le competenze per farlo? Ho gli strumenti? L’ho già fronteggiato positivamente nel passato? L’ho subito negativamente nel passato? Ecc.)
- una valutazione di tipo oggettivo: deriva dalla valutazione dello stressor in termini oggettivi (intensità, durata, persistenza, peso, ecc.).
Sulla base delle valutazioni espresse (in modo più o meno consapevole) si attiveranno quindi delle risposte volte ad analizzare, pianificare e risolvere le situazioni problematiche. Attraverso le strategie di coping si attiveranno quindi delle risposte utili a gestire sui diversi piani (emotivo, cognitivo, comportamentale) quelle richieste (interne o esterne) che vengono valutate come eccessive.
Quando però le risposte che vengono attivate non riescono a far fronte alla situazione problematica generata dallo stressor, allora si possono instaurare delle reazioni non più fisiologiche ma patologiche allo stress. Il rischio di risposte patologiche può essere amplificato da tre fattori:
Naturalmente anche la componente soggettiva ha un peso notevole nel determinare l’instaurarsi di una risposta normale e fisiologica allo stress o, al contrario di una risposta patologica. In questo senso assume particolare importanza l’atteggiamento psicologico con cui il soggetto affronta la situazione di stress, che deriva anche da tutta la sua storia personale e dalla sua percezione di aver maturato in sé delle risorse oppure delle aree di vulnerabilità.
La particolare interazione tra questi elementi può quindi dar luogo a delle risposte patologiche allo stress, le quali si esprimono sia su un piano fisico (es. disturbi quali coronaropatie, ulcera peptica, cefalee, colite ulcerosa, sono considerati fortemente correlati allo stress; così come il crollo delle difese immunitarie e il conseguente insorgere di una generale vulnerabilità alle malattie), sia su un piano psichico (es. disturbi ansiosi, disturbi depressivi, disturbo post traumatico da stress, disturbi dell’adattamento).
In particolare per quanto riguarda i disturbi stress correlati, ne ricordiamo brevemente alcuni:
Lo stress, quando lo si considera nella sua componente di “stress negativo” (distress) può essere causa di notevole sofferenza soggettiva, che si manifesta anche attraverso sintomatologie chiare e riconoscibili. Il livello di disagio può essere variabile, in quanto in esso concorrono, come abbiamo visto, elementi oggettivi (tipo di stress, durata, frequenza, intensità) ed elementi soggettivi (disponibilità di risorse e competenze nell’individuo, percezione di disponibilità di tali risorse e percezione di autoefficacia, storia personale, precedenti esperienze di successo/fallimento in situazioni simili, significazione dell’evento, ecc.).
Il disagio soggettivo legato ad uno stress non va sottovalutato, in quanto se perdura nel tempo e non si riescono a mettere in moto delle risposte adattive di gestione dello stress, allora si potrebbe correre il rischio di una cronicizzazione della sintomatologia o delle risposte patologiche allo stress.
Come intervenire quindi?
Se riconsideriamo i tre vertici in interazione reciproca che avevamo osservato all’inizio (individuo – stressor – ambiente), possiamo dire che sull’evento stressante in sé (lo stressor) non sempre si può intervenire: spesso la vita sottopone gli individui a dure prove cui non ci si può esimere. Anche se è importante ricordare che un esame attento della condizione dell'evento stressante potrebbe fornire delle indicazioni utili, sulle quali però è tendenzialmente più probabile un intervento di tipo sociale che di tipo psicologico.. Possiamo però intervenire in modo significativo sugli stressor emotivi o sugli aspetti emtivi e psichici degli altri stressor.
Possiamo inoltre, per quanto riguarda gli interventi di tipo psicologico, decidere di andare ad agire sugli altri due vertici: l’ambiente e l’individuo.
Dell’ambiente avevamo già riconosciuto il possibile ruolo favorevole nella gestione degli stressor, ad esempio facendo riferimento ad un ambiente sociale (es. amici, parenti, conoscenti) supportivo e contenitivo. È quindi importante poter riconoscere queste risorse, affidarvisi e coltivarle. Nel caso non fosse disponibile al momento una rete sociale o amicale supportiva, è possibile affidarsi ad altri tipi di reti supportive, di tipo più formale (es. nelle associazioni, nell’automutuoaiuto, nel supporto professionale).
Ma l’elemento su cui sicuramente dal punto di vista psicologico si può agire in modo più significativo ed efficace è senza dubbio l’individuo: come abbiamo visto infatti ogni individuo risponde allo stressor in base alla propria personale dotazione di competenze o di vulnerabilità, le quali sono l’esito della storia personale e delle esperienze precedenti in situazioni di stress, e non solo. Sarà quindi possibile agire a diversi livelli con ciascun individuo sulla base della valutazione della “dotazione” di risorse e vulnerabilità di ciascuno: quindi se per qualcuno sarà sufficiente un lavoro sullo sviluppo strategie di coping più adattive e sullo sviluppo delle risorse personali, per altri sarà invece necessario un lavoro più centrato sulla storia delle vulnerabilità acquisite nel proprio passato, oppure sull’autoefficacia; per altri ancora sarà sufficiente un supporto per affrontare un temporaneo disturbo acuto da stress o un momentano disturbo dell'adattamento, mentre per altri soggetti esposti a stress più pesanti, persistenti, frequenti e duraturi potrà essere necessario un percorso di psicoterapia per ristabilire quell’equilibrio personale che l’evento stressante ha traumaticamente messo in crisi.
Ogni percorso parte naturalmente da una valutazione dell’individuo e delle sue risorse, pertanto ogni percorso sarà sempre unico, adatto a quella singola persona, basato sulle sue specifiche caratteristiche, e gli consentirà sulla base della propria personale dotazione di risorse e di vulnerabilità, di maturare le modalità di gestione e di elaborazione dello stress più adattive e, soprattutto, efficaci.
10 marzo 2018
Articolo a cura della dott.ssa Erika Debelli, la riproduzione parziale o totale dello stesso è consentita solo citando il nome dell'autrice.
BIBLIOGRAFIA
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