LA GRAVIDANZA

“Il bambino comincia in noi molto prima del suo inizio. Ci sono gravidanze che durano anni di speranza, eternità, disperazione.”  

(Marina Cvetaeva)

Durante la gravidanza la futura mamma deve affrontare una serie di cambiamenti, che coinvolgono non solo il suo corpo, che deve modificarsi per poter accogliere e far crescere dentro di sé una nuova vita, ma anche la sua psiche, che allo stesso modo deve prepararsi ad accogliere un bambino che modificherà sia gli equilibri nel mondo reale e familiare, sia gli equilibri interni alla madre.


Una nuova identità: da “figlia” a “madre”


Durante la gravidanza avranno luogo sul piano psichico cambiamenti altrettanto importanti di quelli che si svolgeranno sul piano somatico. La gravidanza è infatti un processo evolutivo e maturativo della donna, un processo nel corso del quale vengono rivissute le fasi precedenti del proprio sviluppo, in particolare per quanto riguarda le identificazioni con la propria madre. Si può quindi considerare la gravidanza come un evento maturativo che ha una duplice valenza: di evoluzione, ma anche di vulnerabilità (Bibring, 1959). La futura mamma dovrà infatti affrontare una profonda destrutturazione della propria identità, sostenuta dai mutamenti sul piano psichico e somatico, per poter successivamente riorganizzare una nuova identità.

La costruzione della nuova identità sarà caratterizzata dal passaggio fondamentale dal ruolo di “figlia” a quello di “madre”. E questo non è sempre un percorso semplice.

Riconoscersi nel ruolo di madre significa confrontarsi con quello che è stato il principale ruolo di madre fino ad allora conosciuto: quello della propria madre, con cui ci sarà una identificazione. Ciò significa che la futura mamma dovrà riorganizzare il proprio mondo rappresentazionale interno, dovrà scendere a patti con l’imago materna e trovare un suo spazio e una sua identità nuova. Questo processo potrebbe richiedere un lungo lavoro psichico, soprattutto nei casi in cui ci sia stato nell'infanzia un legame conflittuale, un vissuto di rifiuto, oppure dell’ostilità più o meno manifesta e consapevole nella relazione con la propria madre. Queste difficoltà inoltre potrebbero in vario modo influire anche sui vissuti rispetto al feto, all’accettazione o al rifiuto della gravidanza stessa perché, proprio mentre deve affrontare i precedenti legami di attaccamento con la madre, allo stesso tempo su un altro versante deve anche iniziare a costruire un nuovo legame: quello con il figlio.

Il legame che la futura madre instaura con il figlio durante la gravidanza è inizialmente fusionale e le consente solo in un secondo tempo di vivere il bambino come un essere distinto, separato, in particolare verso la fine della gravidanza. Nel corso della gravidanza il bambino può essere vissuto in modi diversi: alcune donne immaginano subito il feto come un bambino, altre non riescono a sentirlo come tale, sentono di non averne il controllo, o ancora lo sentono come qualcosa di intrusivo e a tratti "spaventoso". Con il procedere della gravidanza, tuttavia, la rappresentazione del figlio si fanno progressivamente più nitide, anche grazie al crescendo di proiezioni, di attribuzioni, di sogni e fantasie consce e inconsce che si riversano sul bambino. La madre può così man mano costruire nella propria mente sia l’immagine del proprio figlio che la propria immagine materna, riuscendo a considerare sempre di più il bambino come parte di sé ma anche come entità distinta, aspetto che sarà alla base della relazione con il bambino reale una volta nato. Infatti la possibilità di costruire progressivamente una rappresentazione sempre più differenziata del figlio consente alla futura mamma anche di costruire una prospettiva intersoggettiva, di un "sé in relazione all’altro", come testimoniano le mamme che chiacchierano con il bambino nel pancione come se potesse già partecipare al dialogo, promuovendo la costruzione di una “matrice intersoggettiva” che sosterrà dopo la nascita lo sviluppo della mente relazionale del bambino e della capacità di gestire gli stati affettivi.


I trimestri della gravidanza - tra psichico e somatico


Somatico e psichico nel corso della gravidanza si influenzano reciprocamente. Nel corso dei trimestri queste interazioni si evidenziano con modalità particolari, testimoniando lo sviluppo parallelo del bambino nel grembo fisico, e dell’immagine del bambino e dell’immagine materna nel “grembo psichico”.

Nel primo trimestre possono essere presenti delle paure ed una certa ansia: anche la gravidanza più attesa apre in un certo senso all’ignoto, a cambiamenti che coinvolgeranno il mondo psichico della futura mamma, la relazione di coppia, il suo ruolo nel mondo, la sua identità. Compare la paura legata alla salute del figlio, connessa alla consapevolezza dei maggiori rischi di aborto spontaneo nel primo trimestre, paura legata anche alla mancanza di percepibili e rassicuranti movimenti fetali all’inizio della gravidanza. Sono presenti spesso nausea e vomito, in parte legati a modificazioni fisiologiche e sbalzi ormonali, in parte connessi a vissuti complessi, che potrebbe ancora segnalare un conflitto rispetto ad una piena accettazione della gravidanza o alla nuova identità di mamma. È possibile infatti sperimentare all’inizio della gravidanza una grossa ambivalenza, che fa passare dall’accettazione della gravidanza al suo rifiuto. Ciò non significa necessariamente che non ci sia il desiderio di avere il bambino: significa invece che è necessario riuscire ad elaborare il cambiamento che la gravidanza porta nella vita (sia reale che psichica) della futura mamma per poter accettare pienamente la presenza di una nuova vita dentro di sé, e ciò può richiedere un certo tempo e un notevole lavoro psichico.

Nel secondo trimestre le paure di un possibile aborto spontaneo diminuiscono, e si iniziano a percepire i movimenti fetali, i quali consentono alla mamma di sentire il bambino come distinto da sé, come “persona reale”, e si fa più chiara l’immagine di sé come futura mamma, con un vissuto in cui prevale finalmente la gioia sulla iniziale paura. Potrebbero esserci ancora delle paure legate alla quantità e qualità dei movimenti fetali (“si muove troppo/troppo poco”, “non riesco a sentirlo”), che potrebbero dipendere da un desiderio di controllo di una condizione vissuta ancora come fonte di notevole ansia, e che potrebbe necessitare di un supporto per essere affrontata in modo più sereno e gioioso.

Nel terzo trimestre si fa sempre più viva e presente la stanchezza della gravidanza, e la  futura mamma si avvicina sempre di più al pensiero del parto. Compaiono paure legate all’evento del parto, che non devono essere minimizzate ma accolte ed elaborate, in un percorso individuale o per mezzo dei corsi preparto. La mamma Inizia a pensare al bambino sempre di più come ad un essere distinto, con il quale a breve ci si incontrerà e che porterà, al momento della nascita, al confronto tra il “bambino reale” e il “bambino immaginario” che ha popolato le fantasie della coppia genitoriale nel corso della gravidanza. Questo potrebbe essere un momento molto difficile se le due immagini sono molto distanti, e richiedere un ulteriore “aggiustamento” e a volte un sostegno alla coppia genitoriale (si pensi ad esempio al necessario adattamento che richiede anche una semplice divergenza tra “il bambino immaginario” docile, che non piange, e “il bambino reale” che piange, soffre di coliche, non dorme; ma si pensi anche alla divergenza più dolorosa tra “il bambino immaginario” sano che è stato fantasticato in gravidanza e il “bambino reale” che viene al mondo con una disabilità).

Se la gravidanza si è evoluta anche sul piano psichico per il meglio, la mamma sarà in grado di rispondere adeguatamente al bambino, anche grazie allo svilupparsi della “preoccupazione materna primaria” (Winnicott, 1956).

La “preoccupazione materna primaria” è una condizione di particolare sensibilità della mamma nei confronti del figlio, una condizione che si sviluppa verso la fine della gravidanza e rimane attiva fino ai primi tre mesi dopo la nascita, consentendo l’adattamento sensibile della mamma ai bisogni del bambino. Viene descritta da Winnicott come una “malattia”, quasi uno stato mentale alterato (per quanto normale e necessario, quindi non patologico) in cui la mamma è fortemente concentrata sul figlio, immersa in una relazione fusionale in cui lei deve rispondere ai bisogni del bambino in modo sensibile, anticiparli, e contribuire così a sviluppare il senso di sé del bambino. La madre deve essere quindi sufficientemente sana da “ammalarsi” di questa sorta di “malattia”, ma deve poi poter “guarire” ed uscirne una volta che il bambino ha raggiunto uno sviluppo che gli consenta di avere meno bisogno dell’adattamento materno, riuscendo anche progressivamente a riconoscere la mamma come un entità a sé, come qualcosa di separato da sé. Se infatti il bambino all’inizio non esiste da solo, ma esiste solo in relazione alla mamma, progressivamente attraverso i vari processi maturativi e attraverso delle “frustrazioni ottimali” offerte dalla mamma (cioè frustrazioni non eccessive ma che sostengono il suo sviluppo) il bambino può passare dalla non integrazione all’integrazione e diventare una unità, strutturando il suo Io, maturando progressivamente i confini della propria psiche e del proprio corpo.


Disturbi psicopatologici in gravidanza e nel post partum


Nella maggior parte dei casi la gravidanza segue un percorso fisiologico che, tra alti e basti e aggiustamenti in itinere, conduce la futura mamma a maturare naturalmente le risorse e gli adattamenti per accogliere serenamente il bambino.

In altri casi invece il cambiamento che la gravidanza porta con sé dal punto di vista somato-psichico può mettere la futura mamma alla prova, portandola a doversi destreggiare tra nuovi equilibri mentre cerca di costruire una nuova identità, sia relativamente al proprio sé sia per quanto riguarda la sua nuova identità in relazione con il bimbo in arrivo. E questo percorso può essere più o meno difficile, più o meno facile, in base ad una serie di fattori individuali e relazionali, o legati alla storia della futura mamma o alla presenza di un ambiente in grado di aiutarla a contenere le sue preoccupazioni.

La sofferenza può derivare da vari elementi: una differenza sentita come eccessiva tra il “bambino immaginario” e il “bambino reale” può condurre ad ansie, paure, angosce; ma anche una discrepanza tra il “genitore ideale” che si immaginava di poter essere e il “genitore reale” che ora si trova in difficoltà di fronte alle poche ore di sonno, alle preoccupazioni, alla solitudine, può creare non pochi problemi e dare il via a degli sviluppi difficili, e ciò proprio nei primi momenti così importanti nella costruzione del legame di attaccamento e della interazione mamma-bambino. C’è infine la necessita di confrontarsi con l’assunzione di un nuovo ruolo per il quale si pensa di non essere mai abbastanza preparati, in cui si teme di fallire, con il rischio di maturare vissuti depressivi o ansiosi.

A volte questa sofferenza si manifesta in forme subcliniche, cioè come una sofferenza che non ha le caratteristiche per essere considerata una vera e propria patologia, ma che comunque fa sentire un certo grado di disagio. È possibile in certi casi attivare un breve percorso di sostegno per aiutare la mamma o la coppia genitoriale nel recupero delle risorse in un momento così delicato, di modo che possano poi ricominciare a gestire autonomamente al meglio i nuovi ruoli e i nuovi equilibri familiari.

In altri casi invece il disagio è maggiore, ed è necessario intervenire terapeuticamente, in particolare per quanto riguarda i tre principali disturbi diagnosticabili nel post partum:

-  maternity blues: è un disturbo molto comune e si manifesta subito dopo il parto, tendenzialmente nella prima settimana. È transitorio e lieve, ed è caratterizzato da tristezza, tendenza al pianto, labilità dell’umore.

- depressione post-partum: può iniziare a manifestarsi con sintomi depressivi a volte anche già a partire dal sesto mese di gravidanza; dopo il parto si manifesta entro i primi tre mesi e può durare alcuni mesi. Si manifesta con vissuti depressivi, che includono tristezza, colpa, autosvalutazione, e con alterazioni del ciclo sonno-veglia e dell’appetito.

- psicosi puerperale: è il disturbo più grave, ma anche il più raro. Si manifesta con sintomi psicotici (allucinazioni, deliri), disturbi del comportamento, alterazioni del tono dell’umore, a volte idee paranoidi e di persecuzione; c’è un rifiuto totale del bambino e un’impossibilità di prendersi cura di sé. Si correla ad alti rischi di infanticidio e ad alti rischi di suicidio.

In parte questi disturbi sono dovuti ad alterazioni fisiologiche connesse alla gravidanza e al parto stesso, in parte in essi intervengono anche altre variabili legate alla ridefinizione dell’immagine di sé, del proprio ruolo, alla ridefinizione dei legami di attaccamento del passato e alla costruzione del legame con il bambino, alla modificazione degli equilibri di coppia, e così via.

Fortunatamente spesso accade che la nascita del bambino porti con sé delle ricadute positive, favorendo una integrazione psicologica e un superamento delle ambivalenze nella madre.

Ma quando ciò non accade è importante che la neo mamma e chi le sta attorno possano riconoscere subito una eventuale sofferenza o disagio, in modo che l’intervento precoce possa aiutarla a superare in tempi più brevi e nel modo migliore il disturbo, consentendole quindi di ritornare al più presto alla sua vita di mamma senza doversi sentire “sola” ad affrontare quei meravigliosi ma difficili cambiamenti che la gravidanza e poi la nascita portano con sé.


BIBLIOGRAFIA

  • Ammaniti M. (2008), “Pensare per due. Nella mente delle madri”, Laterza, Bari.
  • Bibring G.L. (1959), “Some considerations of the psychological process in pregnancy”, The psychoanalytic study of the child, 14, 113-121.
  • Raphael-Leff J. (2014), “La gravidanza vista dall’interno”, Astrolabio, Roma.
  • Winnicott D. (1956), “Dalla pediatria alla psicoanalisi”, Martinelli, Roma.