"Non c'è nulla di immutabile, tranne l'esigenza di cambiare".
(Eraclito)
Il “mestiere” dello psicoterapeuta non è un mestiere che si improvvisa. E parlo di “mestiere” non a caso: c’è qualcosa in questa professione che fa pesare al “mestiere” di un bravo artigiano, ad una competenza tecnica che si accompagna ad una capacità di essere un tutt’uno con la propria opera artigianale, unica ogni volta, come unica è ogni diversa persona che si presenta in terapia.
Ogni volta che mi trovo nella stanza di psicoterapia, infatti, incontro adulti, bambini, adolescenti, persone che affrontano un leggero stress legato al periodo di vita oppure persone che affrontano un trauma di vecchia data che ha lasciato profonde cicatrici, persone con il desiderio di risolvere dei problemi di carattere psicologico o anche solo di migliorarsi, persone che hanno mille resistenze oppure anche mille risorse da scoprire.
Insomma, ogni incontro è unico: ogni persona porta il suo insieme di vissuti, con il suo peculiare bagaglio emotivo ed esperienziale, con la sua storia. E, dall'altro versante, ogni persona che entra a colloquio incontra in me una professionista che porta non solo la propria competenza teorica e aderenza ad un certo orientamento clinico, o l'esperienza accumulata nei diversi anni di esercizio della professione, ma anche i peculiari vissuti e le risposte emotive e controtrasferali che ogni incontro e ogni racconto attivano in seduta.
Insieme quindi, partendo dall'incontro tra queste due soggettività e dalle loro interazioni, e muovendoci su una solida base teorica e tecnica, daremo vita a qualcosa di nuovo ogni volta, in ogni seduta.
Se da un lato quindi il “mestiere dello psicoterapeuta” assomiglia un po’ ad un’arte, perché è legato al mondo del soggettivo e alla necessità di dare in un certo senso vita ogni volta ad una “opera unica”, d’altra parte è anche subordinata alla necessità di operare rispettando dei precisi criteri clinici e terapeutici, e mantenendo una competenza professionale costantemente aggiornata.
Il rispetto di questi criteri permette di tutelare il processo terapeutico e, soprattutto, permette di tutelare il paziente e la sua salute.
Ma c’è a volte un po’ di confusione: spesso chi non ha esperienza nel settore tende a confondere psicologi, psicoterapeuti, psichiatri; inoltre ultimamente stanno emergendo delle nuove pratiche, quali quelle di counselor, coach, ecc., che vanno ad introdursi in aree di azione e intervento in parte simili, creando ulteriori confusione.
Proviamo a fare un po’ di chiarezza rispetto ad alcuni punti principali, riassunti anche nella tabella.
La prima differenza che salta subito all'occhio è il possesso o meno di un titolo di studio adeguato. I primi tre professionisti cui facevamo riferimento (psicologi, psichiatri, psicoterapeuti) hanno conseguito una Laurea, che può essere in Psicologia o in Medicina, e hanno quindi le competenze necessarie per fare una diagnosi. Ciò consente non solo di occuparsi della patologia in modo corretto, ma anche di valutare quando e se siamo effettivamente in assenza di patologia, e quindi non è necessario alcun intervento oppure è opportuno solo un intervento di consulenza, sostegno o di prevenzione.
Per diventare coach o counselor non è invece necessaria una laurea. Anche senza di essa (o con lauree in altri settori anche molto diversi) è possibile frequentare un corso di tre anni che rilascia un attestato di counselor oppure seguire dei corsi di coaching. In questi corsi vengono apprese tecniche quali ad esempio quella di ascolto attivo, nonché alcune modalità di intervento di superficie. Non è consentito ad un coach o counselor scendere ad occuparsi di tematiche psicologiche più profonde in quanto, essendo ciò di competenza delle professione sanitarie (psicologo, psicoterapeuta, psichiatra, ecc.) si configurerebbe un vero e proprio reato: il reato di esercizio abusivo della professione sanitaria.
Quello che sento spesso dire dai counselor o dai coach è che, poiché essi si occupano di "benessere" e non di patologia (si occupano cioè di "miglioramento", "empowerment", "motivazioni"), non entrano nelle sfere di competenza degli psicologi in quanto non si occupano di patologia, e ciò li autorizzerebbe a proseguire il loro lavoro. Ed effettivamente quando riescono a mantenersi a tale livello, non si ravvisano problemi. Purtroppo però non è sempre così.
Infatti per poter dire che stanno lavorando su una condizione in cui non c'è patologia, dovrebbero prima essere in grado di conoscere le diverse patologie per poter con certezza affermare che non sono presenti nel soggetto ed escluderle. Dovrebbero essere in grado di fare una diagnosi di assenza di patologia. Ma la diagnosi (anche quando significa certificare che non c'è patologia) è una competenza sanitaria, che si acquisisce in lunghi percorsi di studio e lunghi tirocini, in quanto con la salute delle persone non si può essere approssimativi.
Il rischio è infatti che vadano a "rovistare" in una situazione di fragilità, che magari non hanno riconosciuto in quanto non si è ancora pienamenete espressa attraverso una chiara sintomatologia ma solo con qualche leggero "disturbo", e che tuttavia come una bomba può esplodere loro tra le mani, portando la fragilità ad esprimersi - ora sì - in una patologia.
Forse un esempio può aiutarci a chiarire la situazione. Ho avuto nel passato in psicoterapia una donna molto intelligente, con una posizione economica e sociale invidiabile, una famiglia sana e solida, figli di cui era in grado di occuparsi in modo soddisfacente, ed un lavoro di alto livello e gratificante. Insomma, all'apparenza una condizione idilliaca. All'apparenza.
Più in profondità c'era invece una struttura di personalità molto fragile, con tratti borderline, con angosce che si manifestavano attraverso attacchi di panico e con qualche sporadico e isolato episodio allucinatorio.
Nel corso della terapia è emerso il desiderio di avere un altro figlio, e ne abbiamo discusso insieme poichè, data la sua condizione più profonda (non quella idilliaca che traspariva in superficie) il rischio di un crollo psicotico correlato ad una eventuale gravidanza e neogenitorilità era a questo punto molto grande. Parallelamente però il suo desiderio aveva fatto sì che si rivolgesse anche ad un counselor che in un incontro pubblico (non individuale) incitava l'audience a perseguire il proprio sogno di genitorialità, senza conoscere le condizioni personali di ciascuno, ma invitando comunque tutti a superare (o forse - direi io - ad ignorare e negare) gli ostacoli.
Se avesse seguito l' "input motivazionale" offerto dal counselor, probabilmente le conseguenze sarebbero state gravi: il rischio di un crollo psicotico era purtroppo proprio dietro l'angolo, ma era necessario avere le competenze per vederlo. E purtroppo chi incontrava la signora senza le necessarie competenze cliniche e non avendo avuto l'occasione di indagare adeguatamente la struttura di personalità di questa donna, poteva effettivamente essere tratto in inganno dalle sue alte performance sociali e lavorative. E il counselor poteva tranquillamente cadere in una lettura di superficie di questo tipo.
Fortunatamente abbiamo potuto "limitare i danni", valutando insieme quale fosse il significato che il desiderio di un figlio acquisiva per lei in quel momento della sua vita e della sua terapia, non solo su un piano reale ma anche simbolico e relazionale, e quali i rischi implicava. E da lì è stato possibile lavorare insieme al meglio sulla sua situazione effettiva, reale e psichica, e non solo su un generico concetto di "benessere" o di "diritto alla genitorialità"; "diritto" che avrebbe potuto portare a ripercussioni gravi non solo sulla salute psichica della signora, ma anche sulla condizione di vita dei figli esistenti e di quello desiderato.
Da questa breve vignetta clinica possiamo quindi capire come siano tendenzialmente necessarie delle competenze cliniche per occuparsi anche del "benessere", per valutare l'effettiva presenza di fattori di rischio anche nel perseguire progetti di crescita e benessere, e come sia necessario conoscere non solo le tecniche di intervento, ma anche le dinamiche che si possono attivare ad un livello più profondo.
E ciò, è bene ricordarlo, è un importante elemento di garanzia per la salute e la tutela del paziente.
Se ci sono dei dubbi, chiunque può semplicemente consultare l’Albo professionale di riferimento (degli Psicologi o dei Medici) per accertarsi di avere a che fare con un professionista regolarmente abilitato e per verificarne le competenze.
Inoltre è bene ricordare che spesso psicologi e psicoterapeuti hanno già una formazione in coaching o cousneling, acquisita come parte delle competenze di base della propria formazione o approfondite in seguito. In questo caso i professionisti sanitari (psicologi, psicoterapeuti, psichiatri), a differenza dei semplici coach o counselor, sono in grado di fornire una corretta valutazione clinica del cliente e quindi di agire su aree correttamente individuate di difficoltà o di risorse, senza rischiare di andare a smuovere inconsapevolmente aree più problematiche non individuate prima, o di trovarsi alle prese con qualche area di sofferenza difficile da gestire.
Quindi, riassumendo sommariamente e a grandi linee le caratteristiche di queste varie figure di professionisti e di tecnici, possiamo rivolgerci a:
Le figure del coach e del counselor appartengono al sempre crescente settore di quelle che venivano definite “professioni non regolamentate”. Si definiscono così in quanto queste professioni non sono regolamentate da una legge che ne preveda uno specifico iter formativo, né da una legge che ne individui chiaramente gli ambiti di azione e intervento, né dispongono di un'Ordine professionale istituito per legge e afferente al Ministero della Salute che garantisca sulla corretta e completa formazione dei suoi iscritti o che tuteli i clienti vigilando sull'operato degli iscritti e sul rispetto delle leggi e del Codice Deontologico. Si situano quindi all'interno di un quadro normativo e di tutela che differisce completamente da quello degli Psicologi.
Attualmente molti di questi operatori fanno però riferimento alla legge 4/2013, che prevede una forma di "riconoscimento" per le professioni non regolamentate, ma solo nel caso in cui queste non vadano a svolgere attività di competenza di professioni già regolamentate per legge (professioni che devono già rispondere a chiari obblighi, con indicazioni di iter formativi istituzionali precisi, esami di stato, ecc.).
Il TAR del Lazio infatti con una sentenza del novembre 2015 ha escluso la possibilità di inserire la associazione di categoria dei counselor tra le associazioni riconosciute in base alla legge 4/2013, e ciò in quanto essi esercitano attività che per legge sono già definite di competenza degli psicologi. Spesso tuttavia si trovano elenchi di counselor e di associazioni che ne "certificano" l'appartenenza ad un qualche registro, ma a ben guardare sono tendenzialmente elenchi autoreferenziali, non essendoci un ente terzo come può essere l'Ordine professionale o l'Università, che ne certifichi le competenze e l'acquisizione dei requisiti necessari.
Bisogna ricordare inoltre che se questi operatori (counselor, coach) dovessero spingersi ad utilizzare tecniche di intervento tipiche dei professionisti sanitari cui in vario modo si ispirano (psicologi, psicoterapeuti) senza averne le competenze, oltre al rischio di trovarsi tra le mani aspetti di fragilità del cliente che potrebbero non saper riconoscere o gestire (con grandi rischi per la salute del cliente), correrebbero anche il rischio di commettere il reato di esercizio abusivo della professione (articolo 348 Codice Penale).
Diverso come dicevamo è il caso in cui ci si rivolga ad un professionista riconosciuto (psicologo, psicoterapeuta) che abbia, oltre ovviamente alle competenze psicologiche, anche delle competenze di coaching o counseling.
Quindi a chi ci si può rivolgere? Bisogna riconoscere che coach e counselor esistono e che se mantengono i loro interventi al livello di loro competenza, sulla superficie, possono anche essere utili in alcuni ambiti. Penso ad esempio all'ambito sportivo, nel quale effettivamente l'aspetto puramente motivazionale è importante. Tuttavia essi non sono in grado di riconoscere l'esistenza di altri possibili "blocchi" più profondi alla motivazione e all'espressione delle potenzialità dell'individuo, e quindi, se va bene, potrebbero non ottenere tutti i risultati sperati, ma se va male potrebbero esporre il cliente a ben più gravi tipi di rischio (ad esempio non riconoscendo un disturbo d'ansia alla base delle diminuite performance dell'atleta, e limitandosi ad azioni a sostegno della motivazione). Tuttavia se essi agiscono con correttezza e competenza possono essere in grado di vedere i propri limiti, agire sulle parti più di superficie, e rimandare il soggetto a professionisti con competenze più ampie per quanto riguarda gli aspetti sui quali non sanno intervenire.
Del resto ci si potrebbe anche chiedere che cosa spinga a rivolgersi alle professioni non regolamentate che si ispirano vagamente ad alcune teorie psicologiche, o ad alcuni limitati aspetti delle teorie psicologiche, invece di rivolgersi direttamente a chi ha piene competenze psicologiche per intervenire in maniera mirata ed efficace. Ma qui probabilmente dovremmo andare a vedere le paure personali spesso legate agli stereotipi sugli psicologi come professionisti che "curano i matti", o come professionisti che si occupano solo di problemi e non di risorse, miglioramento, o crescita personale, stereotipi che per fortuna le persone più informate hanno già abbandonato, ma cui molti erroneamente credono ancora.
La scelta invece tra i diversi tipi di professionisti sanitari (psicologi, psicoterapeuti, psichiatri) può essere fatta in base al livello e gravità del disagio sperimentato, al tipo di intervento che si ritiene possa essere utile (ad esempio più volto al sostegno, oppure alla cura o terapeutico, oppure più medico e farmacologico). Ad ogni modo il professionista sanitario, proprio in base alle competenze di cui dispone, sarà in grado di fare una diagnosi e di ricostruire una visione d'insieme del problema portato dal paziente, individuandone fragilità ed eventuali rischi ma anche tutto l'insieme delle risorse e dei punti di forza, e potrà offrire sulla base di questa visione complessiva una proposta di intervento mirata ed efficace.
STUDIO DI PSICOLOGIA E PSICOTERAPIA
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