“Nella vita dei bambini sono le minuzie che contano”
(A. Gramsci)
Il disturbo da deficit dell’attenzione/iperattività è un disturbo che ha il suo esordio nell’infanzia e che si manifesta con livelli di disattenzione e iperattività e/o impulsività eccessivi rispetto al livello di sviluppo del bambino, con una conseguente compromissione di diverse aree di funzionamento, quali ad esempio l’area delle abilità scolastiche, del funzionamento cognitivo, delle relazioni.
Il normale percorso evolutivo di ogni bambino infatti lo conduce verso lo sviluppo di sempre maggiori capacità di comprendere e “monitorare” il proprio comportamento, le proprie abilità sociali, la propria capacità di focalizzarsi su un determinato compito (sia esso un gioco o un compito scolastico). Quando tuttavia questo naturale processo evolutivo sembra incontrare delle difficoltà, e si riscontrano in queste abilità livelli di maturazione non in linea con il livello generale di sviluppo del bambino, è importante poter valutare se si tratta effettivamente di un disturbo da deficit dell’attenzione e iperattività, in modo da poter intervenire precocemente e sostenere lo sviluppo del bambino o del ragazzo nel miglior modo possibile.
La psicoterapia dell'età evolutiva consente di agire precocemente sul disturbo e di ottenere stabili e duraturi miglioramenti, attraverso una analisi delle diverse componenti del disturbo e un intervento che si rivolga anche alla componente relazionale del disturbo.
Il disturbo da deficit dell’attenzione e iperattività si manifesta attraverso una sintomatologia che si esprime nei due ambiti principalmente coinvolti: quello della disattenzione e/o quello della iperattività e impulsività.
La disattenzione, affinché possa essere considerata sintomo di un disturbo, deve manifestarsi per un tempo significativo e con un significativo numero di manifestazioni (tempo e modi significativi sono indicati dai manuali diagnostici) e compromettere di conseguenza in modo importante il funzionamento del bambino o del ragazzo nei normali compiti sociali, scolastici o occupazionali. Non è sufficiente quindi che il bambino o il ragazzo sia “un po’ distratto” perché si parli di un disturbo, ma ci deve essere una disattenzione clinicamente significativa.
La disattenzione si può manifestare in vari modi: mediante compiti o attività o lavori svolti in modo apparentemente superficiale, non accurato, in cui compaiono molti errori; con una grande difficoltà ad organizzare i propri compiti o le attività (ad esempio difficoltà a preparare lo zaino); con incapacità a portare a termine i propri compiti; con la tendenza ad evitare di intraprendere compiti o lavori che richiedono un eccessivo impegno; con tendenza a dimenticare il materiale, gli appuntamenti, le scadenze; con una eccessiva distraibilità da parte di stimoli esterni; con un’apparente incapacità di ascoltare l’interlocutore o le istruzioni, come se il bambino fosse altrove con il pensiero.
Anche l’iperattività e l'impulsività, affinché possano essere considerate significative ai fini della diagnosi di un disturbo da ADHD, devono manifestarsi in modo persistente per un periodo di tempo significativo con un certo numero di manifestazioni, e compromettere in tal modo il normale funzionamento quotidiano del bambino o del ragazzo per quanto riguarda i compiti che deve intraprendere, siano essi sociali, scolastici o occupazionali.
Le manifestazioni dell’iperattività (che si manifesta maggiormente su un piano motorio) o dell’impulsività (che si manifesta maggiormente attraverso un mancato controllo degli impulsi, a volte anche con condotte rischiose) risultano subito abbastanza evidenti ad un osservatore: il bambino o il ragazzo non riesce a stare fermo, non riesce a stare seduto sulla propria sedia, a volte si alza dalla sedia anche in situazioni in cui ciò non sarebbe opportuno (ad esempio in classe); è agitato, spesso tamburella con le mani o muove i piedi; è come se fosse sempre “pronto ad andare via”, non riesce a stare fermo a lungo in un contesto, in un gruppo (ad esempio in un ristorante, o in un gioco con altri, ecc.); non riesca ad aspettare il proprio turno; spesso si inserisce nei discorsi degli altri o nelle attività degli altri, o prende le cose degli altri in prestito senza aspettare il permesso; parla molto e non aspetta il proprio turno nemmeno nelle conversazioni, dando le risposte prima che le domande vengano formulate fino alla fine, o completando le frasi degli altri, o parlando “sopra” gli altri mentre questi stanno ancora finendo di parlare. Tutte queste manifestazioni devono essere chiaramente dovute al disturbo e non a carenze educative o ad un contesto educativo/familiare deficitario o che offre scarse regole di riferimento, e non devono essere nemmeno dovute a deficit del bambino che compromettono la sua capacità di comprendere le regole.
I sintomi di disattenzione e iperattività, affinché si possa parlare di un ADHD, si devono manifestare in due o più contesti di vita del bambino (a scuola, a casa, nelle attività extrascolastiche, nelle attività lavorative se il ragazzo già lavora, nelle relazioni sociali, con gli amici o con i parenti); le manifestazioni del disturbo nei diversi cotesti potrebbero variare leggermente.
I bambini che manifestano elevati livelli di iperattività molto spesso si sentono da questa disturbati. Non si tratta infatti in questi casi di una buona, forte e stabile quota di energia che i bambini sentono di poter impiegare per svolgere i propri compiti o i propri giochi in modo ottimale, ma si tratta di una sensazione pervasiva, disturbante, di una impossibilità a stare fermi che va ad interferire con le attività quotidiane del bambino o del ragazzo, siano queste di gioco o scolastiche o di altro tipo. Il bambino può anche desiderare di adeguarsi alle richieste dell’ambiente circostante, può desiderare di essere “come tutti gli altri bambini” (ad esempio nell’ambiente scolastico che richiede di stare fermi sulla sedia), ma può allo stesso tempo sentire di non avere il controllo su questo desiderio, di avere un impulso a scaricare una tensione eccessiva dovuta a necessità che egli sente non legate al proprio sé è in qualche modo indipendenti dal proprio volere (ad esempio sentire che “le gambe decidono che devono muoversi”). L’energia quindi non è sentita come una energia in un certo senso “piacevole” o “vitale”, ma come una energia eccessiva e incontrollabile. La scarica motoria diventa poi anche il modo per provare a ristabilire una forma di controllo su qualcosa che il bambino sente come incontrollabile. La scarica motoria diventa anche il modo per controllare le emozioni negative e disturbanti o l’ansia che si accompagnano al disturbo, o per gestire disturbi dell’umore che possono essere presenti insieme all’ADHD. Tutto ciò si accompagna inoltre spesso ad una elevata irritabilità e a una scarsa tolleranza alla frustrazione.
La disattenzione conduce ad ulteriori vissuti di frustrazione in quanto interferisce negativamente con le prestazioni scolastiche ma anche con le prestazioni sociali, relazionali e di gioco in generale. Il bambino può sentire di non riuscire ad avere il controllo sulle proprie performance scolastiche nonostante gli sforzi, e pertanto sviluppare una bassa autostima, maturare una percezione di autoefficacia non soddisfacente o avere ulteriori ripercussioni sullo sviluppo di successive competenze evolutive.
Inoltre nell’ambito delle relazioni il bambino o il ragazzo con ADHD può subire altre conseguenze negative, in quanto spesso (soprattutto se non diagnosticato, ma anche in presenza di diagnosi) il disturbo può essere confuso dagli altri per pigrizia, svogliatezza, maleducazione, poca voglia di accettare le regole della scuola o le responsabilità e così via. Il bambino o il ragazzo può in questi casi sperimentare un rifiuto da parte del contesto sociale che non riconosce il disturbo come tale ma addebita il comportamento a presunte caratteristiche personali negative e immodificabili del bambino, e non al disturbo in sé. Anche nella relazione con i compagni di classe o di gioco i vissuti possono essere di esclusione e rifiuto, in quanto spesso l’incapacità di rispettare i turni, di ridurre l’impulsività, di ascoltare gli altri prima di parlare o di seguire le regole (soprattutto nei giochi) vengono vissuti dagli altri bambini o ragazzi come egoismo, arroganza o desiderio di sopraffazione.
Le prime manifestazioni di iperattività possono iniziare ad essere notate dai genitori anche molto presto, quando il bambino è molto piccolo, ma a causa della normale variabilità individuale presente in ogni bambino nel corso dello sviluppo infantile, di solito viene diagnosticata con maggior accuratezza in età scolare. Durante l’età scolare infatti si rendono evidenti oltre ai sintomi di iperattività anche quelli relativi alla disattenzione, consentendo quindi di formulare una diagnosi certa e accurata. Normalmente i sintomi devono essere presenti prima dei dodici anni, ma il disturbo può perdurare ed essere presente anche in età adulta.
La diagnosi deve essere naturalmente formulata prendendo in considerazione il livello di sviluppo del bambino o del ragazzo oltre alla sua età anagrafica, e deve escludere eventuali altri deficit nello sviluppo o carenze educative/familiari che vadano ad interferire in altro modo con la capacità del bambino di stare sul compito o di attenersi alle regole. È necessario invece valutare la compresenza di altri disturbi che frequentemente si manifestano in comorbilità con l’ADHD. Si è rilevato infatti che circa la metà dei bambini con disturbo di disattenzione e iperattività manifestano anche disturbi specifici dell’apprendimento, mentre circa un quarto dei bambini manifestano anche disturbi della condotta. È inoltre importante valutare l’eventuale presenza di disturbi del tono dell’umore o di disturbi d’ansia i quali, pur non essendo specificamente correlati con il disturbo, sono presenti in questi bambini in una percentuale superiore alla media della popolazione (DSM-5, 2013).
Le ricerche che hanno indagato l’origine del disturbo ne hanno messo in evidenza una origine multifattoriale: se infatti alla sua base è possibile individuare in alcuni casi una componente genetica o familiare, non vanno trascurate tuttavia le componenti di altro tipo, quali quelle ambientali (es. ipersitmolazione; o anche esposizione a fattori tossici in gravidanza: si discute ad esempio se il fumo in gravidanza possa concorrere allo sviluppo dell’ADHD), ma assumono sicuramente un peso rilevante anche i fattori legati ad esperienze traumatiche di vario tipo, soprattutto di tipo relazionale, soprattutto nelle prime fasi di sviluppo del bambino.
Per quanto riguarda la terapia è quindi importante predisporre un intervento che risponda alle specifiche caratteristiche del disturbo presentate dal singolo bambino o ragazzo, valutando quindi non solo le possibili componenti alla base del disturbo e i fattori che hanno eventualmente sostenuto e favorito lo sviluppo del disturbo stesso, ma valutando anche in particolare se si possa ravvisare un disturbo misto con entrambe le componenti di iperattività e disattenzione, o se invece prevalga una componente di iperattività, o piuttosto prevalga la componente di disattenzione. Sarà inoltre importante approfondire anche la presenza di eventuali disturbi di tipo depressivo o ansioso sottostanti, o eventualmente reattivi al disturbo stesso e conseguenti ai vissuti di impotenza e frustrazione e rifiuto che il bambino potrebbe sperimentare. La psicoterapia dovrà necessariamente essere modulata sulla base di tutti questi elementi caso per caso, ed eventualmente comprendere anche un percorso di psicoeducazione e di training allo sviluppo delle abilità sociali e delle abilità attentive. I progressi in terapia saranno naturalmente favoriti da una collaborazione con i genitori all’intero percorso, anche perché sarà di fondamentale importanza anche l'analisi ed il trattamento delle componenti relazionali del disturbo.
BIBLIOGRAFIA
STUDIO DI PSICOLOGIA E PSICOTERAPIA
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