Paura di arrossire - Eritrofobia


“E all'improvviso... un fuoco sulle guance!” : l'eritrofobia

 

L’arrossire è un evento naturale e fisiologico che tutti possono occasionalmente sperimentare: arriva all’improvviso in modo non intenzionale e non può essere intenzionalmente arrestato, poiché è attivato dal sistema nervoso ortosimpatico, il quale non risponde alle decisioni della nostra volontà ma va autonomamente a favorire una vasodilatazione dei capillari del viso, colorandone le guance. 

 

Ne abbiamo avuto tutti esperienza almeno una volta: basta un piccolo imprevisto che provochi imbarazzo, un banale inciampo nella socialità, un discorso che tocca temi delicati, l’interazione con persone di cui temiamo il giudizio, e le guance si colorano.

E purtroppo quasi nulla si può fare volontariamente per intervenire su questo evento fisiologico che – a parte un leggero imbarazzo – il più delle volte non provoca significativi disagi e si risolve in fretta.

 

Quando però questo fenomeno si manifesta con una frequenza percepita dall’individuo come eccessiva, quando la sua intensità è anomala e spropositata, quando i vissuti che accompagnano l’evento si caratterizzano per una eccessiva sofferenza psichica che si colora d’ansia, portando il più delle volte a comportamenti di evitamento che interferiscono con una normale e serena quotidianità, allora il fisiologico processo dell’arrossire potrebbe accompagnare un disturbo che merita attenzione.

 

 

Quando la paura di arrossire diventa patologica: l’eritrofobia

 

La paura di arrossire in pubblico viene definita eritrofobia o ereutofobia, dalle parole greche erithros, che significa  rossore, e phobos, che significa paura.

 

L’eritrofobia può essere compresa nella classe delle fobie sociali (o disturbo da ansia sociale) del DSM-5.

Si caratterizza per un timore irrazionale (ma non per questo meno intenso!) e non controllabile nei confronti di un oggetto o di una situazione che viene sentita dall’individuo come minacciosa, pur in assenza di un reale pericolo.

Nel caso dell’eritrofobia, l’oggetto che definisce il sintomo è proprio la paura di arrossire o l’arrossire nelle situazioni sociali, evento percepito come minaccioso e possibile fonte di giudizio negativo da parte degli altri.

 

Molte persone ne fanno esperienza senza provare fastidio, mentre per altre può provocare un forte disagio, che può diventare anche altamente invalidante: si tratta a tutti gli effetti di un disturbo psicologico, e può interferire con la qualità della vita, intaccando in particolare la vita sociale, relazionale e la vita lavorativa.

 

I vissuti che accompagnano l’esperienza dell’eritrofobico non si limitano infatti al normale e momentaneo disagio o imbarazzo con cui tutti abbiamo familiarità. Chi soffre di eritrofobia ha vissuti estremamente intensi e pervasivi, con un disagio che tende a manifestarsi con frequenza eccessiva e in diverse occasioni, non più solo saltuariamente. Numerose situazioni possono quindi diventare occasione di stress e tensione, con un crescendo di ansia e paura.

 

Sul piano dell’esperienza interna e degli stati affettivi è infatti proprio la paura dell’evento che attiva la fobia ad occupare il centro della scena.

Finché la persona non si trova a contatto con l'evento che innesca la fobia (es. arrossire o temere di farlo mentre si parla con altre persone, o entrando in un negozio, ecc. ), l’ansia può essere minima. All’avvicinarsi dell’evento però i vissuti di ansia si fanno sempre più intensi, fino a raggiungere livelli anche molto elevati.

È inoltre possibile che non sia soltanto la situazione in sé ad attivare la risposta di ansia: anche il solo pensare ad essa potrebbe attivare la stessa risposta, con una sensazione di ansia e angoscia che si attiva al solo pensiero di dover affrontare prima o poi la situazione temuta, attivando così l’ansia anticipatoria.

Nel tentativo di ridurre l’ansia, l’eritrofobico potrebbe di conseguenza cercare di ridurre il numero delle occasioni in cui si trova a doverla affrontare, mettendo in atto strategie di evitamento delle situazioni che la innescano. Queste strategie rischiano però di coartare la vita della persona, facendola rimanere chiusa in pochi spazi vitali che sente come sicuri e non in grado di attivare l’ansia, ma portandolo a rinunciare alla sua normale quotidianità (es. andare tra la gente al supermercato, stare con i colleghi in ufficio, ecc).

 

Sul piano cognitivo sono dunque prevalentemente i pensieri rivolti alla situazione fobica, all’evitare la situazione fobica e alla riduzione dell’ansia ad occupare il campo. Fantasie e pensieri sono dominati dal pensiero sullo stimolo fobico o dalla ricerca di nuove strategie di evitamento, ma così facendo la vita ideativa e cognitiva dell’individuo si “restringe”, si fa meno vivace. Alti livelli d’ansia inoltre possono interferire con i processi cognitivi, rendendo a volte il pensiero più confuso, o dominato dal solo pensiero “sto arrossendo” o “sto per arrossire”, che non consente di essere completamente presenti durante le più semplici interazioni sociali. Possono inoltre comparire pensieri di auto-svalutazione e giudizio (es. “sto arrossendo, ora penseranno che sono stupido”).

 

Sul piano fisico la vasodilatazione dei capillari delle guance (iperemia) che provoca il rossore viene percepita dall’eritrofobico come evento minaccioso. Egli ne percepisce il progressivo aumento della temperatura, vi presta attenzione, e si innesca un circolo vizioso che interessa ancora una volta il sistema nervoso autonomo, favorendo il rilascio di adrenalina, che a sua volta sostiene la vasodilatazione dei capillari del volto, incrementando ancora la sensazione di stare arrossendo, con un aumento del battito cardiaco, mentre la sudorazione si fa profusa e il respiro potrebbe farsi corto.

Potrebbero inoltre essere presenti nell’eritrofobico diversi sintomi somatici, riscontrabili non solo in presenza dell’evento, ma anche quando l’evento viene solo anticipato nella fantasia e nel pensiero. I sintomi somatici possono comprendere senso di oppressione al torace, senso di vuoto nello stomaco, frequente bisogno di urinare o defecare, nausea o vomito, ecc.

 

 

Come intervenire nell'eritrofobia?

 

Il disagio provocato dall’eritrofobia porta chi ne soffre a mettere in atto una serie di tentativi di trovare autonomamente una soluzione per ridurre la sofferenza. Questa soluzione viene il più delle volte ricercata attraverso l’evitamento degli stressor e delle situazioni che potrebbero innescare il disturbo: attuando quindi le strategie di evitamento.

Sicuramente le strategie di evitamento consentono alla persona di ridurre temporaneamente il disagio e l’ansia, ed è normale quindi che si rivolga a queste in prima battuta. 

Tuttavia con il passare del tempo l’eritrofobico si rende conto che queste non sono sufficienti. Anzi, innescano un circolo vizioso che sostiene il sintomo, un circolo per cui ogni evitamento rende poi più difficile ritornare ad affrontare quegli stimoli che ha ormai così tante volte evitato. Pur evitandoli, il pensiero su di essi rimane, abbiamo visto, al centro della scena psichica del soggetto: pur non affrontando direttamente gli stressor, la persona continua a pensarvi, a prefigurarsi negli eventi critici, ad immaginare cosa accadrà e come potrà sentirsi, come potrà reagire. Si attiva quindi l’ansia anticipatoria, che potrebbe andare a sostenere un aumento del disturbo, una maggiore attivazione del sistema nervoso ortosimpatico con peggioramento del rossore, ed un ulteriore incremento del ricorso alle strategie di evitamento, con il rischio di rimanere vittime di se stessi, intrappolati in questo circolo vizioso.

È necessario quindi, ad un certo punto, trovare il coraggio di intraprendere nuovi percorsi di cura, affidandosi a dei professionisti.

 

La psicoterapia è il tipo di intervento più indicato in queste situazioni, e consente di intervenire terapeuticamente sul disturbo psicologico, anche andando ad interrompere progressivamente questo circolo vizioso, e non solo.

Ciò non significa, naturalmente, chiedere all’eritrofobico di rinunciare di punto in bianco alle strategie di evitamento, in quanto ciò lo lascerebbe esposto ad una quota eccessiva di ansia e non consentirebbe un cambiamento terapeutico. Si può invece lavorare terapeuticamente per promuovere un cambiamento che porti ad una progressiva riduzione nell’utilizzo delle strategie disadattive.

È inoltre sempre bene ricordare che si tratta di una patologia, pertanto il chiedere di rinunciare a queste strategie tout-court e di “impegnarsi a stare con gli altri”, di “metterci un po’ di buona volontà” (come spesso chi soffre di questo disturbo si sente dire da familiari e amici) non produrrebbe dei risultati utili, ma provocherebbe solo un incremento di sensi di colpa e pensieri autosvalutativi, già così presenti: così come non chiediamo a chi ha l’influenza di farsi forza e uscire, perché sappiamo che non basta la buona volontà per far scendere la febbre, allo stesso modo non dovremmo chiedere a chi ha l’eritrofobia di incontrare le persone senza pensare sempre di arrossire perché “basta la buona volontà”.

Ciò pone però un primo quesito: l’eritrofobico che magari soffre già da un po’ e ha progressivamente ridotto la sua vita sociale, si potrebbe sentire in grado di uscire in un contesto sociale – nello studio o nel centro clinico – per incontrare lo psicoterapeuta? 

Effettivamente se l’evitamento è consistente potrebbe essere difficile. Ma in questi casi è possibile pensare di rivolgersi alla psicoterapia online per la prima fase del percorso terapeutico, per arrivare infine alle sedute in presenza presso lo studio. La psicoterapia online ha la stessa efficacia della psicoterapia in presenza, ma naturalmente tra gli obiettivi terapeutici definiti all’inizio nel contratto terapeutico ci sarà, soprattutto in questo tipo di patologia, anche l’obiettivo di rinunciare progressivamente all’online per affrontare le sedute in presenza.

Il percorso psicoterapeutico si sviluppa attraverso le tipiche fasi di: valutazione, intervento psicoterapeutico, conclusione.

La fase di valutazione consente di ricostruire la storia del sintomo e della malattia, la storia relazionale e clinica del paziente, la sua storia evolutiva, e di valutare non solo le aree di fragilità ma anche le sue aree di forza. 

Sarà quindi necessario indagare il sintomo, le modalità con cui si è presentato, da quanto tempo, con quale sviluppo, in quali situazioni, ecc., quali sono stati gli interventi finora adottati (anche gli interventi di “autocura”, come le strategie di evitamento).

Parallelamente sarà inoltre necessario indagare il contesto relazionale del soggetto e la sua storia clinica ed evolutiva, la sua storia familiare, in modo da poter valutare non solo il sintomo in sé, ma in modo da inserire questo sintomo all’interno di una più complessa valutazione del contesto relazionale e della struttura di personalità dell’individuo. Ciò in quanto, sebbene il disturbo possa presentarsi “semplicemente” come mera eritrofobia, potrebbe anche rappresentare non un disturbo a sé ma un sintomo di un altro tipo di problematica. Comprendere il sintomo e come si inserisce nella storia e nella struttura di personalità dell'individuo consente di orientare l’intervento terapeutico, e permette di progettare un percorso terapeutico più mirato ed efficace. Ciò naturalmente richiede un necessario tempo di indagine e valutazione, che contrasta con il desiderio del soggetto di risolvere “subito” il problema e ritornare alla sua quotidianità. Tuttavia è proprio quando ci concediamo il tempo necessario per giungere ad una completa e corretta valutazione, indagando tutti gli aspetti coinvolti e senza tralasciarne qualcuno per “fretta”, che riusciamo poi ad intervenire in modo molto più efficace e più rapido.

La successiva fase di terapia si sviluppa proprio sulla base di quanto emerso in fase di valutazione, e nella cornice dell’orientamento teorico del terapeuta. L’intervento può infatti essere guidato da diversi orientamenti (psicoanalitico, cognitivo-comportamentale, sensomotorio, ecc.) e utilizzando diversi strumenti e tecniche (tecniche di rilassamento, immaginazione guidata, emdr, ecc.). Ogni intervento deve però essere scelto e progettato solo sulla base di solide motivazioni cliniche, emerse in fase di valutazione, e progettato “su misura” per il singolo paziente.

L’intervento di matrice psicoanalitica mira fondamentalmente ad intervenire ad un livello profondo, andando ad indagare il significato inconscio del sintomo e le dinamiche intrapsichiche e interpersonali coinvolte, in modo da lavorare per un cambiamento terapeutico profondo, solido e duraturo.

Nella fase conclusiva del percorso, giunti ad una progressiva riduzione del sintomo e ad un incremento di modalità più adattive e funzionali di gestione e superamento dell’ansia e della fobia, è possibile concordare insieme il momento di chiusura del percorso, che potrà o meno prevedere un periodo di follow-up.

 

Il punto di vista psicoanalitico

 

Dal punto di vista psicoanalitico occupandoci dell’eritrofobia possiamo fare riferimento alle concezioni sulle fobie.

La fobia è una nozione prettamente psicoanalitica, e di fobie Freud si era occupato già nel 1894.

Da allora naturalmente la ricerca psicoanalitica ha portato a nuovi e sempre maggiori sviluppi, ma la cornice fornita dalla classica teoria psicoanalitica consente di inquadrare al meglio il disturbo.

È necessario, secondo la teoria psicoanalitica, occuparsi del significato inconscio del sintomo e delle dinamiche che sono alla base di esso. Solo indagandone i derivati dell’inconscio è possibile agire in modo da attivare un cambiamento e ridurre il disagio.

Già Freud infatti sottolineava come non fosse opportuno, se non addirittura dannoso, ogni tentativo che mirasse a dissuadere il paziente o a sottrarlo alla sua fobia senza prima aver indagato e avvicinato il significato inconscio alla base del sintomo fobico. Ciò in quanto il sintomo, per quanto in modo disfunzionale, svolge una funzione di protezione, ed eliminarlo senza averne prima indagato il significato inconscio, significherebbe esporre la persona all’angoscia, privandola di quella protezione.

L’angoscia ha infatti un ruolo centrale quando ci occupiamo delle fobie. La fobia può essere considerata come una “costruzione protettiva” che sposta all’esterno un accumulo di affetto (libido) presente invece nel mondo interno dell’individuo, legato ad una rappresentazione angosciante (“idee incompatibili”) che non può essere tollerata, e deve essere rimossa, mentre il meccanismo fobico agisce come formazione sostitutiva per contrastare il ritorno del rimosso.

Alla luce di ciò, giustamente L. Contran nella voce "Fobia" su Spipedia (enciclopedia online sulle parole della psicoanalisi, curata dalla Società Psicoanalitica Italiana) specifica che “la funzione della fobia è quella di stabilire un confine tra l’interno e l’esterno, di costruire una ‘barriera psichica’ che fa da argine all’angoscia”.

Entrano in gioco quindi nella necessaria indagine e valutazione anche gli elementi che riguardano la costruzione dei confini dell’organizzazione psichica, e che rimandano alle prime interazioni del bambino con la madre, che può fungere da madre/ambiente in grado di contenere le angosce del bambino (se è una madre “sufficientemente buona”, sufficientemente supportiva e responsiva) e di favorire l’autonomia. Il tema della conflittualità rispetto al desiderio o incapacità di autonomia e di separazione, anche in età adulta, entra anch'esso nell’indagine svolta all’inizio della terapia e accompagna i diversi momenti della terapia.

 

La complessità della dinamica sottostante il disturbo fobico, qui soltanto accennata, e nel caso di nostro interesse dell’eritrofobia, consente di capire come mai le strategie di evitamento o le “autocure” abbiano necessariamente una portata non sufficiente a superare il sintomo.

Sarà invece necessario occuparsi di ciò che “sta sotto”, del significato profondo, inconscio del sintomo, e delle dinamiche che lo sostengono. 

Tutto ciò dovrà essere approfondito in seduta, ascoltando e interrogando l’unicità di ogni singolo soggetto che entra in terapia, ciascuno con la sua unica ed irripetibile storia clinica, relazionale, evolutiva, personale. Ogni intervento, con la stoffa preziosa che la psicoterapia ci offre, dovrà essere cucito su misura per ogni paziente. 

 

 

 

BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA

 

  • American Psychiatric Association (2013). Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali – Quinta edizione. DSM-5. Tr.it. Raffaello Cortina, Milano, 2015.
  • Freud S. (1894b), Ossessioni e fobie, OSF, 2, Boringhieri.
  • Freud S. (1915), Metapsicologia, OSF, 8. Boringhieri.
  • Freud S. (1925), Inibizione, sintomo, angoscia, OSF, 10. Boringhieri.
  • Lingiardi V., McWilliams N. (a cura), PDM-2. Manuale Diagnostico Psicodinamico, Cortina, Milano 2018.  
  • Segal H. (1954), I meccanismi schizoidi che sottostanno alla formazione delle fobie, in Scritti psicoanalitici, Astrolabio 1984.
  • https://www.spiweb.it/la-ricerca/ricerca/fobie/ 


Foto di Narcis Ciocan da Pixabay