PRIMA INFANZIA E PSICOTERAPIA - LA VALUTAZIONE DIAGNOSTICA

Cosa accade quando un genitore porta il bambino piccolo, che rientra ancora nell'arco della prima infanzia, dalla psicoterapeuta per una valutazione? Quali sono gli elementi che entrano in gioco e su quali piani (interni, esterni o relazionali) ci muoviamo?

Nel processo di valutazione diagnostica di un bambino nella prima infanzia sono molti gli aspetti che è necessario prendere in considerazione.

Alla base di una corretta valutazione c’è la considerazione che il percorso di valutazione attiva un articolato processo relazionale che coinvolge tutti i partecipanti alla consultazione: il bambino in primis, ma anche i genitori (o altri caregiver) e il clinico (psicologo/a o psicoterapeuta) che con loro interagisce in questo particolare contesto.

 

All’interno di questa matrice clinica relazionale incontriamo dunque: 

 - il bambino: ne possiamo valutare lo sviluppo in termini maturativi e adattivi, ma ricordando sempre con Winnicott che “non esiste un bambino senza una madre”. Pertanto la valutazione deve considerare non solo il bambino, ma anche il caregiver, e la relazione fra bambino e caregiver. È necessario infatti riconoscere che esiste una forte interdipendenza tra il disagio o problema che il bambino manifesta e i fattori connessi alla relazione, nonché tra i sistemi di regolazione biologica e i sistemi di regolazione sociale.

Va pertanto indagata l’esperienza interpersonale tra bambino e caregiver. È infatti all’interno della relazione che si sviluppa il Sé del bambino e che maturano le sue competenze.

La relazione può avere quindi un ruolo centrale nel promuovere oppure ostacolare lo sviluppo del bambino, e va pertanto osservata non solo nei termini di che cosa fanno insieme, ma soprattutto di come lo fanno, valutandone la qualità.

Gli scambi tra i due costituiscono un sistema interattivo: ognuno dei due influenza ed è influenzato dall’altro. Se infatti la possibilità di sviluppo delle competenze del bambino è influenzato dalla capacità del genitore di essere responsivo (cioè di accogliere e rispondere in modo adeguato e sensibile ai segnali comunicativi del figlio), allo stesso modo il caregiver è spinto a sviluppare le sue capacità di essere responsivo in base alle sollecitazioni che riceve dal bambino. È quindi un sistema in continua evoluzione, in cui è possibile intervenire per riparare eventuali “rotture” di comunicazione tra i due.

Vanno inoltre valutati tutti quei fattori che possono impedire lo sviluppo della responsività tra genitore e bambino, sia da parte dell’uno che da parte dell’altro. Tra di essi possiamo rintracciare i fattori genetici, o eventuali difficoltà nel periodo prenatale o perinatale, oppure malattie fisiche o prematurità, tutti elementi che possono interferire con lo sviluppo delle potenzialità di crescita del bambino limitandone le capacità di attivare esperienze o di disporre di una gamma sufficientemente ampia di risposte e di attività comunicative verso il caregiver e l’ambiente di crescita. Altri fattori di vulnerabilità possono invece derivare da problematiche genitoriali, da una psicopatologia nei genitori, oppure da condizioni di rischio ambientale o condizioni sfavorevoli quali una separazione precoce o situazioni di grave disagio socioeconomico.

È infine importante valutare anche l’esperienza soggettiva di entrambi i partner coinvolti nell’interazione (quindi sia del bambino che del genitore), comprese le rappresentazioni e i ricordi della storia delle interazioni tra i due, i significati della storia di relazione, nonché le rappresentazioni che il genitore ha di sé da bambino.

 

 - I genitori: le loro narrazioni durante i colloqui di valutazione spesso portano all’attenzione alcuni temi specifici che riguardano il bambino, ma che allo stesso tempo ad un altro livello fanno riferimento anche ad altre esperienze del passato del genitore, che sono state internalizzate e che vanno a costituire una sorta di guida per la costruzione e interpretazione delle relazioni future.

La ricerca sull’attaccamento evidenzia infatti che quando un genitore sta per diventare tale, attiva modelli operativi interni anticipatori di se stesso come genitore e al contempo sviluppa delle rappresentazioni del bambino, formandosi aspettative, sentimenti e pensieri che andranno a guidare i comportamenti di cura verso il figlio. Dalle ricerche svolte sull’Adult Attachment Interview (Main, Caplan, Kassidy, 1985) è emerso che negli adulti è possibile rilevare diversi tipi di rappresentazioni mentali dell’attaccamento. Questi modelli di attaccamento presenti nel genitore permettono di predire lo stile di attaccamento dei figli nei loro primi anni di vita, e possono trasmettersi tra le generazioni. “Se i modelli operativi interni delle relazioni di attaccamento dei caregiver sono incoerenti, male organizzati e difensivamente distorti nell’interazione reale con il bambino, i segnali di attaccamento non sono percepiti in modo adeguato e il bambino riceve risposte contraddittorie e fuorvianti che ostacolano la comunicazione interna; ciò porterà il bambino a sua volta a sviluppare modelli operativi interni del Sé e delle figure di attaccamento inadeguati, determinando la trasmissione intergenerazionale.” (Ammaniti, 2001)

 

 - Il clinico: non si occupa solo dell’esame del bambino, ma anche di indagare la componente relazionale appena descritta, e quindi anche dell’esplorazione delle preoccupazioni e delle aspettative che i genitori hanno sullo sviluppo del bambino, dell’esplorazione delle caratteristiche dei genitori e delle risorse di cui dispongono per sostenere lo sviluppo del figlio, dell’indagine del supporto della famiglia allargata e del contesto socioeconomico e relazionale in cui vivono.

Le narrazioni che emergono nella relazione tra il clinico e i genitori portano non solo elementi oggettivi, ma anche dati soggettivi, in quanto i genitori mentre raccontano ripercorrono la storia dei loro bambini così come si è organizzata nella loro mente. Per tale motivo è importante raccogliere tutta la storia come viene raccontata da entrambi i genitori, per poter avere una visione più completa del contesto relazionale e di cura in cui il bambino cresce.

Il coinvolgimento dei genitori nel percorso di cura è sempre fondamentale. Grazie alla loro collaborazione è infatti possibile individuare i punti di forza del bambino e dei genitori, in modo da poter valutare insieme gli elementi di difficoltà e se necessario intervenire. In questo modo il momento valutativo diventa una grande occasione per riflettere insieme sul bambino e sulle preoccupazioni o timori che il genitore porta, consentendo di arrivare a rielaborare la situazione in modo più articolato e attivare un cambiamento.  

In questo modo il momento di incontro con lo psicologo o psicoterapeuta per la valutazione del bambino può diventare una occasione trasformativa, in grado di modificare le rappresentazioni e le interazioni del bambino con il caregiver, andando così a sostenere positivamente lo sviluppo.

 

 

BIBLIOGRAFIA

- Ammaniti M., Manuale di psicopatologia dell’infanzia, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2001

- Bowlby J., (1962), Attaccamento e perdita. Vol. I – L’attaccamento alla madre, Bollati Boringhieri, Torino, 1999

- Winnicott D.W. (1965), Sviluppo affettivo e ambiente, Borla Editore, Roma, 1981