GENITORI E FIGLI

Nuovi stili educativi e nuove fragilità

“Se voi fate tutto ciò che potete per promuovere la crescita personale dei vostri figli, dovete essere pronti ad affrontare dei risultati inquietanti. Se i vostri figli riusciranno a incontrare se stessi, non si accontenteranno di incontrare solamente una parte del proprio Sé, ma vorranno incontrarlo per intero, comprendendo cioè sia gli elementi aggressivi e distruttivi, sia quelli che potrebbero essere definiti di amore. Comunque sia, vi sarà questa lunga lotta cui dovete sopravvivere.” 

(D.W. Winnicott)

Nuovi stili affettivi: dalla "famiglia etica" alla "famiglia affettiva"


Negli ultimi decenni stiamo stiamo assistendo al presentarsi sulla scena familiare di nuovi stili educativi, di nuove modalità di stare in relazione con i figli, di nuovi panorami che pongono norme e affetti all'interno della famiglia e nell'assetto educativo familiare in un nuovo equilibrio. 
I cambiamenti negli stili educativi non sono omogenei, spesso le nuove modalità affiancano quelle vecchie o le integrano. Ma in generale possiamo dire che assistiamo negli ultimi decenni ad un mutamento dell’assetto educativo da un approccio centrato sull’adulto ad un approccio sempre più spesso centrato sul bambino, che considera il bambino nel suo essere “perfetto” all’origine, in attesa solo di essere visto e riconosciuto dall’adulto, il quale si mette a disposizione del figlio per aiutarlo ad esprimere un valore intrinseco che si considera essere già presente alla nascita mentre al contempo l’adulto, rispecchiandosi in questo valore, si sente egli stesso dotato di valore.

La famiglia è diventata sempre più una “famiglia affettiva”, che svolge una “funzione ostetrica” – come la definisce Pietropolli Charmet – nei confronti del bambino, il quale deve emergere nella sua vera natura in base ai suoi talenti, mentre va progressivamente riducendosi la presenza della “famiglia etica” e normativa che invece impone al bambino o al ragazzo regole, norme, e schemi precostituiti di come egli dovrebbe diventare. La coppia genitoriale vuole ora farsi obbedire dal figlio per amore e non per paura delle sanzioni. Si crea così nel contesto della famiglia affettiva una particolare attenzione e uno spazio per gli affetti, creando una sorta di “palestra degli affetti”.

Gli attuali stili educativi, parallelamente, manifestano sempre più spesso le caratteristiche tipiche del maternage (accogliere, riconoscere, ascoltare) più che quelle tipiche di una posizione paterna (dare norme e regole, indicare la via), e tali caratteristiche riguardano sempre più spesso entrambe le figure della coppia genitoriale, sia la madre che il padre.

Le relazioni all’interno della famiglia appaiono improntate attualmente sempre più spesso ad un rapporto “paritario” anche tra genitori e figli, con funzioni di riconoscimento reciproco e valorizzazione reciproca.

All’ “etica del rispetto e della colpa” (“io, genitore, ti do quello di cui ha bisogno, e tu, figlio/a, rispetti le regole; se infrangi le regole e mi deludi ti puoi sentire in colpa; e quindi poi ripari”), va sostituendosi sempre più spesso “l’etica della responsabilità” (“ti conosco, ti riconosco, so che vali, so che tu puoi fare certe cose e quindi ti chiedo di farle, così io posso fare altre cose per te”) (Rostagno, 2014).

Il bambino e poi il ragazzo si confrontano quindi sempre di più con le aspettative, con il dover dimostrare di poter esprimere al meglio il proprio talento, più che con le regole, e diventano più frequenti i vissuti di “delusione” nel bambino o adolescente (delusione per non aver potuto rispondere alle aspettative, per non essere stato il "bambino perfetto" e pieno di valore cui i genitori chiedono solo di "manifestarsi"), più che i vissuti legati al “senso di colpa” per l’infrazione di una norma. Compaiono quindi con maggior frequenza dei disagi di impronta narcisistica.



La vergogna e la sofferenza narcisistica


In quest’ottica di parità e di riconoscimento reciproco, tutto potrebbe forse procedere per il meglio, anche in presenza di poche regole, finché non arriva la necessaria ribellione dell’adolescenza. E l’adolescente deve necessariamente potersi ribellare, deve poter costruire una propria identità autonoma, deve poter “deludere” in una certa misura gli adulti per separarsi da loro e riappropriarsi del proprio Sé e costruire una sua identità, prima adolescenziale e poi adulta.


Ma quando il bambino, su cui i genitori hanno investito tanto (riconoscendo la sua meravigliosa unicità, e riconoscendosi in lui come buoni genitori) li delude - come inevitabilmente deve accadere nel corso dello sviluppo e soprattutto in adolescenza - , ha luogo un piccolo cataclisma: il bambino cui era stato fino ad allora chiesto soltanto di “esprimersi”, di tirar fuori la naturale bellezza che aveva dentro di sé, si trova ora invece alle prese non più con quella indiscussa potenza e meraviglia sostenuta dai genitori, ma con un limite, un limite che fino ad allora non aveva conosciuto, un limite che il mondo adulto non gli aveva mai posto, rimanendo in costante attesa che esprimesse la sua unicità ed il suo valore innato; l'adolescente incontra così un limite che ora non sa però come affrontare.


Di fronte quindi ad un fallimento o una delusione (sia esso un fallimento scolastico, una delusione amorosa, una inadeguata risposta alle aspettative genitoriali, o altri comuni "fallimenti" che ogni adolescente può incontrare), egli si trova alle prese con nuovi vissuti: l'adolescente non riesce ad incontrare il limite, a mettersi in relazione con questo in modo dinamico ed evolutivo e ad affrontarlo, ma non riesce nemmeno più a trovare quella sua "perfezione" innata che i genitori aspettavano esprimesse: egli incontra in questo momento solo un’immagine di sé difettosa, sbagliata, manchevole. In questo modo egli sente che non può che deludere se stesso e l’altro, sente di non essere quel bambino perfetto che gli era stato detto, di aver mancato al suo "mandato", con una conseguente profonda sofferenza narcisistica che si accompagna a un senso di inadeguatezza e vergogna.

Il prevalere in questo assetto educativo dell'etica della responsabilità, che porta il genitore a chiedere al ragazzo di corrispondere al valore che gli viene riconosciuto (“ti conosco, ti riconosco, so che vali, so che tu puoi fare certe cose e quindi ti chiedo di farle, così io posso fare altre cose per te”, Rostagno, 2014) è quindi molto lontano dall' "etica del rispetto e della colpa", che ha prevalso in epoche precedenti, anche solo fino al secolo scorso, epoche in cui vi erano stili educativi dove la funzione normativa genitoriale poneva un limite fatto di regole che, qualora infrante, esponevano il ragazzo ad un senso di colpa che tuttavia lasciava lo spazio per la riparazione e per una ulteriore evoluzione e crescita (“io, genitore, ti do quello di cui ha bisogno, e tu, figlio/a, rispetti le regole; se infrangi le regole e mi deludi ti puoi sentire in colpa; e quindi poi ripari”, Rostagno, 2014).


Potremmo quindi riflettere sul fatto che lo stile educativo appena descritto, improntato alla "famiglia affettiva", se da un lato favorisce e sostiene - all’interno di una famiglia complessivamente sana - una buona autostima nel bambino proprio grazie alla valorizzazione del bambino in cui i genitori stessi riconoscono anche il proprio successo, dall’altro potrebbe andare a sostenere lo sviluppo di problematiche di tipo narcisistico, di un Sé grandioso, con un mancato riconoscimento del limite.

E ciò anche in relazione al fatto che la famiglia affettiva potrebbe essere così intenzionata a far crescere “figli felici” (Pietropolli Charmet. 2000) da ritenere che ci debba essere e si debba porre un importante limite al dolore mentale che i figli possono sperimentare, anche se a fini educativi. Ciò comporta però un rischio: in tal modo essi crescono e iniziano ad affrontare il difficile viaggio nell’adolescenza senza in fondo disporre della "attrezzatura adeguata": con una scarsa esperienza di dolore e frustrazione (anche relativamente alle piccole frustrazioni e ai minimi dolori che inevitabilmente si incontrano crescendo) e quindi con una scarsa tolleranza nei confronti del dolore mentale, anche minimo. Questo naturalmente non significa che si debbano infliggere ai figli punizioni o sofferenza, ma significa che non è allo stesso modo nemmeno sano tentare in ogni modo di evitare loro ogni minima forma di delusione e di contatto con il limite e - in fin dei conti - con la realtà. Non si può, metaforicamente, evitare di dire un "no" (fonte di frustrazione e limite, e quindi di dolore mentale) ad un bambino che sta giocando col fuoco e rischia di bruciarsi e di farsi del male.

Le recenti modificazioni nello stile educativo e nella coppia genitoriale hanno sicuramente un certo peso nelle problematiche affettive che attualmente si riscontrano negli adolescenti, sempre più riferibili ad adolescenze narcisistiche o adolescenze depressive, nelle quali noia e tristezza prendono il posto della rabbia e del sentimento di colpa, un tempo invece predominanti.

La fragilità che molti adolescenti mostrano di fronte alle delusioni, con frequenti reazioni estreme, con agiti lesivi rivolti a sé (es. il cutting, le anoressie o bulimie, fino al suicidio) o all’altro (es. le aggressioni a coetanei e a volte anche ad adulti, i furti "per noia", il bullismo), sembrano testimoniare questo difficile equilibrio tra l’essere prima il bambino totipotente (quello che ha in sé tutte le potenzialità, che può essere tutto e diventare tutto, che deve solo avere lo spazio e l'occasione per manifestarsi nella sua potenza e perfezione), e lo scoprirsi poi adolescente che incontra il limite, che si scopre non onnipotente, che rischia di perdere un senso di Sé, e che si trova alle prese non tanto con sensi di colpa per avere infranto le regole, quanto con sensi di inadeguatezza e di vergogna per non aver potuto continuare ad essere quel bambino “idolo” che la mamma e il papà vedevano. E di fronte a questo senso di inadeguatezza e vergogna, la reazione è spesso una forte crisi di rabbia narcisistica, che rappresenta spesso il modo per uscire dalla vergogna, cercando di annullarla con una affermazione prepotente e vendicativa del Sé che è stato mortificato.


Come spiega Pietropolli Charmet: “la scoperta più dolorosa e deludente che fa il preadolescente impegnato a confrontarsi con ciò che esiste al di là della barriera corallina del narcisismo familiare è che non ha alcuna missione speciale da compiere”. 

A ciò si aggiunge quel soverchiante senso di irreparabilità che accompagna la vergogna connessa alla frustrazione narcisistica. Se infatti la colpa può essere vista come legata alla trasgressione del limite, ma superabile e riparabile (ed è spesso lo stesso contesto sociale a suggerire i modi per “riparare”), la vergogna è sentita invece come legata ad una mancanza nel Sé, una mancanza personale, e lascia un senso di impresentabilità sociale, di difetto, con cui è difficile confrontarsi e dalla quale sembra impossibile uscire, per la quale non sembra possibile attivare un processo di riparazione, presente invece nel caso del senso di colpa. 



Cosa possiamo fare?


Cosa possiamo fare dunque per aiutare questi adolescenti così fragili? 

Ogni situazione è ovviamente a sé, e ogni ragazzo va incontrato e conosciuto in tutta la sua complessità. Ma, pur riconoscendo l'impossibilità di fornire in poche righe delle risposte esaustive e valide per ogni diverso adolescente o per ogni diversa famiglia, possiamo provare a dare qualche indicazione di massima.


  • Ascoltare, ma anche guidare nella crescita e nell'individuazione.

Una relazione genitore-figli basata sul riconoscimento reciproco e sull’affettività è sicuramente un elemento positivo, ma non può essere l’unico. Paradossalmente se l’adulto si pone solo in ascolto, rischia di non sentire. Spesso la richiesta che arriva dall’adolescente non è infatti solo di ascolto, ma anche di contenimento e di confini. Per poter accompagnare i ragazzi nella crescita è necessario fare riferimento quindi anche al limite, alle regole, alla funzione normativa, che possono aiutare i ragazzi ad individuare in modo un po’ più chiaro la strada.


  • Mettere dei limiti.

Incontrare il limite, la regola, la norma, durante lo sviluppo consente ai ragazzi di fare un esame di realtà più accurato, di vedere i margini del mondo reale e relazionale, di ridimensionare il Sé grandioso, e di riappropriarsi progressivamente di un Sé autentico. Il limite consente anche di dare un confine ed un contenimento alle ansie, e di ridefinire le responsabilità e la differenza generazionale tra adulti e figli.


  • Sostenere la soggettivazione dell’adolescente. 

Per quanto l’adolescente affermi di non aver bisogno del padre e della madre, di essere autonomo e ormai grande, naturalmente egli ne ha ancora bisogno, e da essi dipende ancora fortemente. Ma come ben sappiamo, l'adolescente deve proprio muoversi progressivamente verso una separazione dai genitori, in quanto questo è uno dei compiti evolutivi fondamentali che ogni adolescente è chiamato a svolgere, e non è un compito semplice né indolore. 

La separazione dai genitori porta a dover affrontare il lutto per la separazione, che richiede una elaborazione importante in un momento evolutivo in cui però le basi della personalità di cui dispone l’adolescente sono ancora fragilissime, e proprio in ragione di ciò la dipendenza è ancora fortemente presente e difficile da abbandonare. Accade così molto spesso che proprio nel tentativo di negare la dipendenza (oppure a volte per ottenere una forma di dipendenza più evoluta, ma senza riuscire ad averla), si manifestano alcune crisi adolescenziali. E ciò accade soprattutto se ci si muove in un’area narcisistica, in cui la dipendenza viene negata perché ciò che si nega in fondo è in sostanza la propria inadeguatezza e vulnerabilità, pur avendo una chiara – per quanto non verbalizzabile – percezione di essere “in ritardo” rispetto alla realizzazione di questo fondamentale compito evolutivo. 

Può essere utile in questi casi un percorso psicoterapeutico, in cui è possibile aiutare non solo l’adolescente, ma aiutare anche la coppia genitoriale a sostenerlo in un modo nuovo: “Siccome la ripresa evolutiva è fortemente legata al fatto non tanto che l’adolescente capisca, ma che l’ambiente intorno a lui capisca, ritiri le proiezioni e diventi una risorsa che garantisca che si può farcela, che si può gestire anche quella perdita momentanea di bellezza, di splendore, allora creare delle risorse nel contesto è veramente fondamentale” (Pietropolli Charmet, 2007).


  • Rivolgersi ad un adulto competente. 

Non c’è niente di male nel chiedere aiuto, nel riconoscere il proprio limite, e gli adolescenti lo sanno. Gli adolescenti, abituati ad un clima familiare che favorisce la relazione, il riconoscimento reciproco, l'ascolto, sono in grado di portare le loro domande ad un adulto competente, come può essere ad esempio uno psicoterapeuta, e quindi, se è il caso, sono in grado di iniziare un percorso psicoterapeutico. Anzi, proprio riconoscere il proprio limite da parte del/la ragazzo/a e scoprire insieme ad un adulto competente che questo limite può essere affrontato ed elaborato, insieme ai vissuti a tutto ciò connessi, può essere un utile elemento di protezione e prevenzione anche per il futuro, per i futuri ostacoli che l’adolescente necessariamente – così è la vita – incontrerà, ma che sarà così sempre più in grado di affrontare.



BIBLIOGRAFIA

  • Pietropolli Charmet G., “I nuovi adolescenti. Padri e madri davanti a una sfida”, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2000.
  • Pietropolli Charmet G., "L'ascolto psicoanalitico dei nuovi adolescenti", in Bergasse19, n.0/2007, Ed. Ananke, Torino.
  • Rostagno M., “Genitori e figli nella società che cambia: forme della sofferenza e aiuto possibile”, in Bergasse19, n.12/2014, Ed. Ananke, Torino.
  • Winnicott D. (1965), “Dal luogo delle origini”, Raffaello Cortina Editore, Milano, 1995.