"Il ricordo della felicità non è più felicità,
il ricordo del dolore è ancora dolore".
(Lord Byron)
L’EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing) è una tecnica psicoterapeutica sviluppatasi inizialmente soprattutto per la terapia dei disturbi conseguenti a traumi (in particolare il PTSD, cioè il disturbo post traumatico da stress), e la cui applicazione si è rivelata successivamente efficace anche per altre problematiche.
Essa utilizza la stimolazione bilaterale, di solito attraverso i movimenti oculari, ma può essere anche una stimolazione tattile (tapping) o acustica; essa favorisce l’integrazione del ricordo nelle reti neurali.
Alla base dell’EMDR troviamo una concezione della psicopatologia quale espressione di esperienze traumatiche che sono state immagazzinate nelle reti mnemoniche in modo non funzionale. Infatti, così come le nostre varie esperienze permettono di “stimolare” le nostre neurali e dare vita a nuove connessioni sinaptiche, allo stesso modo anche le esperienze traumatiche vanno, in modo differente, ad agire sulle reti neurali. Ma in questo caso accade qualcosa di diverso: si è evidenziato infatti che hanno luogo, proprio mentre è in atto il trauma ma anche successivamente, delle modificazioni neuroendocrine e metaboliche che agiscono in un certo senso come se andassero a “bloccare” il ricordo del trauma stesso, mantenendolo “isolato” dal resto della rete neurale, in modo non funzionale.
Possiamo schematicamente distinguere due tipi di trauma, che vengono generalmente indicati come “trauma con la T maiuscola” e “trauma con la t minuscola”.
I “traumi con la T maiuscola” sono eventi gravi che comportano una minaccia all’incolumità: guerre, incidenti, violenze, ma anche mancata protezione, violenza assistita, ecc.
I “traumi con la t minuscola” sono eventi che, pur non mettendo a rischio la vita, possono assumere a livello soggettivo caratteristiche di danno importante; sono prevalentemente traumi relazionali che, per quanto a prima vista possano sembrare di scarsa entità, spesso vanno a lasciare delle tracce profonde nella personalità o nella futura capacità di rispondere in modo adattivo (F. Shapiro, 1995).
Il trauma infatti può dare luogo anche in situazioni successive a risposte non adattive e disfunzionali. Le risposte disfunzionali possono essere di diversa gravità, fino ad arrivare a livelli elevati di disturbo, come accade ad esempio nel caso delle persone affette da PTSD. In questo caso, anche se non ci si trova più in presenza dello stimolo traumatico, possono esserci delle risposte disfunzionali che si attivano in modo “automatico”: ci possono essere ad esempio pensieri intrusivi (ad esempio i flashback, invadenti e involontari, che portano sempre l'immagine e il ricordo della scena traumatica davanti ai propri occhi), oppure risposte di evitamento (che impediscono di vivere pienamente la propria vita, in quanto portano ad evitare luoghi, persone o situazioni che anche solo parzialmente riportano al ricordo della situazione traumatica), oppure un aumento dell’arousal (aumento dell’attivazione, con ad esempio disturbi del sonno e irritabilità), con la sensazione che tutto ciò non si riduca con il passare del tempo, come se non si potesse superare il trauma. È un po’ come se il ricordo dell’evento traumatico non potesse essere integrato nel sistema di significati ed emozioni, e rimanesse invece bloccato, isolato, riattivandosi in modo non controllabile e dando luogo a risposte non adattive e disturbanti. L’EMDR interviene quindi con l’obiettivo, potremmo dire, di “sbloccare” questi ricordi traumatici e la loro elaborazione, in modo da favorirne una integrazione entro reti neurali più ampie e adattive.
L’ipotesi che troviamo alla base dell’EMDR è che i movimenti oculari bilaterali (oppure altri tipi di stimolazioni bilaterali, quali quelle acustiche o tattili) attivino un meccanismo fisiologico che riattiva il sistema di elaborazione dell’informazione.
Normalmente infatti l’elaborazione dell’informazione procede in modo innato e automatico verso una “risoluzione adattiva”, e cioè verso un equilibrio in cui i nuovi collegamenti tra reti neurali e associazioni adeguate consentono alla persona di usare l’esperienza in modo costruttivo, integrandola in uno schema emotivo e cognitivo positivo. Ma quando c'è un trauma, improvvisamente e inaspettatamente questo processo innato si blocca: l’esperienza traumatica non viene codificata e immagazzinata bene, ma rimane isolata e non integrata.
L’EMDR può entrare in azione proprio qui, riattivando la capacità innata di elaborazione grazie al lavoro sul ricordo traumatico, in base al modello dell’Elaborazione Accelerata dell’Informazione (AIP). Quindi, come spiega F. Shapiro (1995), “attraverso ogni set di movimenti oculari, noi spostiamo l’informazione disturbante – a una velocità accelerata – lungo i sentieri neurofisiologici adeguati fino alla sua risoluzione adattiva. Per esempio la risoluzione può avvenire quando l’informazione disturbante, precedentemente isolata, viene messa in contatto con informazioni adattive attualmente possedute. [...] Uno dei presupposti di base dell’EMDR è che l’attivazione del ricordo del trauma si muoverà, in modo naturale, verso l’informazione adattiva necessaria per la sua risoluzione”.
Durante la seduta di EMDR il paziente racconta i ricordi traumatici (secondo un piano di lavoro precedentemente elaborato insieme al terapeuta) e viene sottoposto a dei set di stimolazioni bilaterali.
La stimolazione bilaterale può coinvolgere movimenti oculari (il paziente segue i movimenti della mano del terapeuta), stimolazioni tattili (come il tapping del terapeuta sulle mani del paziente), oppure stimolazioni acustiche, sempre bilaterali. L’obiettivo è di lasciare che il sistema di elaborazione dell’informazione del cervello crei nuove connessioni man mano che il paziente si focalizza sui ricordi, sui pensieri, sulle emozioni, sulle sensazioni e su quanto viene associato nel corso dei set di stimolazione bilaterale, fino ad arrivare ad un ricordo che perde le sue caratteristiche disturbanti e viene vissuto in modo nuovo all’interno di nuove connessioni.
Il cambiamento terapeutico è quindi il risultato dell’elaborazione di questi ricordi all’interno di reti neurali sempre più ampie ed adattive.
Isabel Fernandez descrive così la sua lunga esperienza con i pazienti nell’EMDR: “Man mano che si procede con i set di movimenti oculari (o con le altre forme di stimolazioni alternate destra/sinistra), cambiano i contenuti e il modo in cui si presenta l’immagine del ricordo dell’evento target, il paziente riporta cambiamenti nelle emozioni concernenti il ricordo, le sensazioni fisiche si riducono di intensità e, una volta avvenuto questo fenomeno di desensibilizzazione, emergono nuove interpretazioni cognitive. Dopo l’EMDR, il paziente ricorda ancora l’evento o l’esperienza, ma sente che veramente fa parte del passato e il contenuto è totalmente integrato in una prospettiva più adulta” (Fernandez, 1995).
BIBLIOGRAFIA
STUDIO DI PSICOLOGIA E PSICOTERAPIA
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