FAVORIRE LO SVILUPPO MENTALE DEL BAMBINO

“Nella nostra funzione di genitori, siamo per così dire predisposti a cercare di proteggere i nostri figli da qualsiasi male o ferita, ma in definitiva questo non è possibile. I bambini cadranno, saranno feriti nei propri sentimenti, si spaventeranno, si arrabbieranno, proveranno tristezza. Di fatto, sono spesso queste esperienze difficili a consentire loro di crescere e di imparare a conoscere il mondo. Anziché cercare di proteggere i nostri figli dalle inevitabili difficoltà della vita, possiamo aiutarli a integrare queste esperienze nella loro comprensione del mondo e a imparare da esse.” 

(Siegel D.J., Payne Bryson T.)

I più recenti studi nell’ambito delle neuroscienze, della psicoanalisi, dell’attaccamento, hanno ampiamente messo in luce come già nelle prime fasi di vita del bambino – e anche prima – sia indispensabile allo sviluppo della mente del bambino il contatto con la mente degli altri: la mente e la personalità del bambino, infatti, si organizzano e si sviluppano essenzialmente in termini relazionali, e cioè in termini di un Sé in rapporto con gli altri, e contemporaneamente il cervello si modifica creando nuove connessione tra neuroni o rinforzando quelle esistenti in base alle esperienze e alle interazioni che quotidianamente si incontrano. Si può pertanto ritenere che chi si prende cura del bambino possa favorire la creazione e/o il mantenimento delle condizioni ottimali per lo sviluppo della mente, della personalità, e per lo sviluppo cerebrale del bambino.

Daniel J. Siegel e Tina Payne Bryson hanno fornito nel loro stimolante libro del 2011 alcune indicazioni operative - di seguito riassunte - utili a chiunque (genitore, nonno, insegnante, educatore, psicologo) si trovi ad accompagnare un bambino nel suo percorso di crescita.


Utilizzare le situazioni quotidiane per aiutare i bambini a esprimere le loro reali potenzialità

L’approccio proposto da Siegel e Payne Bryson si pone, come affermano gli autori, tra i due versanti del “sopravvivere” e del “fiorire”: è necessario per i genitori “sopravvivere” (in senso psichico) all’ennesima lite tra i bambini per un giocattolo, alla festa di compleanno, alla plastilina appiccicata dappertutto, anche sul materiale da lavoro del genitore, ma è allo stesso tempo necessario che aiutino i bambini a “fiorire”, a sbocciare in tutte le loro potenzialità.

Ed è paradossalmente proprio nel trambusto per la “sopravvivenza” che si creano le condizioni in cui poter fornire nuovi strumenti al bambino per “fiorire”. Se infatti l’ennesima lite tra fratello e sorella ci può indurre a interrompere il conflitto mandando ognuno nella propria camera (scelta a volte utile ai fini della “sopravvivenza”, e in alcuni casi l’unica scelta possibile), potremmo tuttavia pensare di utilizzare proprio questa crisi per insegnare alcune abilità relazionali (l’ascolto, la capacità di vedere il punto di vista dell’altro, la capacità di esprimere i propri desideri in modo rispettoso, ecc.), in modo da favorire lo sviluppo cerebrale, relazionale e la formazione del carattere del bambino, che progressivamente acquisirà crescenti abilità nel gestire i conflitti anche in assenza dei genitori.

Non è quindi necessario secondo gli autori “ritagliarsi” un ulteriore spazio (all’interno di un rapporto già accudente e attento) tra i mille impegni quotidiani per potersi occupare bene del bambino. Non è necessario perché ogni interazione con i propri figli, anche quelle più agitate o quelle in cui si vorrebbe solo “sopravvivere” ai prossimi cinque minuti di caos, possono essere un’opportunità per aiutare lo sviluppo del bambino. Le “crisi” schiudono opportunità di crescita e di integrazione.

Siegel e Payne Bryson ne danno una spiegazione ricorrendo alle neuroscienze: il cervello viene plasmato dall’esperienza nel corso di tutta la vita, dalla nascita, all'età adulta, fino alla vecchiaia. Pertanto ogni interazione, ogni esperienza, può plasmare il cervello e agire sulla sua plasticità, modificandolo dal punto di vista fisico, favorendo lo sviluppo di nuove associazioni neuronali e lo sviluppo mentale. Ogni interazione quindi è potenzialmente un’occasione di crescita.

Cosa fare quindi per far sì che effettivamente le interazioni e le esperienze quotidiane diventino nutrimento per la plasticità del cervello? Gli autori ci mettono in guardia dal rischio di cadere nell’interventismo estremo, ricordando come questo non sia utile a garantire dei risultati e come inoltre incontri comunque il limite fisiologico legato all’età e ai tempi fisiologici di sviluppo del bambino, contro i quali l'interventismo può poco. Tuttavia propongono alcune strategie interessanti.


Come funziona il cervello del bambino. L'integrazione

Se il cervello gode di una notevole plasticità e si modifica nel corso di tutta la vita, come può agire un genitore per aiutare il bambino a svilupparlo al meglio? Una delle funzioni principali che secondo gli autori il genitore può sostenere riguarda l’integrazione.

Il cervello infatti può essere visto come un insieme di “parti” che svolgono funzioni diverse, ma tutte ugualmente utili allo sviluppo e alla vita:

- il cervello “sinistro” offre una visione del mondo più logica e razionale, e la racconta usando le parole;

- il cervello “destro” ne colora l’esperienza di emozioni, e si esprime con linguaggio non verbale;

- il cervello “rettiliano” (più arcaico, “residuo” dei nostri progenitori preistorici) è più istintuale e legato alla sopravvivenza,

- il cervello “mammifero”, più evoluto, consente di stringere relazioni e legami, è empatico e riflessivo.

Non sempre queste parti si “integrano” e funzionano bene insieme. Ad esempio quando i bambini vengono sopraffatti dall’emotività, tra urla e pianti inconsolabili, allora non c’è l’accesso e l’integrazione con le altre parti. In questi casi l’adulto può intervenire per favorire l’integrazione (vedremo di seguito come), e quindi aiutare il bambino ad esempio a coordinare la parte emotiva (cervello “destro”) con la parte che cerca di dare un nome a quanto sta accadendo o al motivo per cui si è arrabbiato, spaventato, ecc., e che cerca una soluzione (cervello “sinistro”).

Favorendo la connessione tra le parti si creano anche nuove connessioni neuronali, oppure si rinforzano quelle già presenti ma meno abituali, e ciò favorirà lo sviluppo cerebrale e favorirà ulteriormente la capacità delle “parti del cervello” di lavorare in modo integrato e sinergico nelle occasioni successive.

Le integrazioni principali sono di tipo “orizzontale” (cervello “destro” e cervello “sinistro”) e di tipo “verticale” (cervello “rettiliano” e cervello “mammifero”), e consentono al bambino di dare risposte progressivamente più adattive e resilienti, di acquisire maggiori capacità di controllo delle emozioni e del corpo, maggiori capacità decisionali e comprensione di sé, migliori relazioni e rendimenti scolastici.

Partendo da ciò, Siegel e Payne Bryson individuano 12 strategie per favorire lo sviluppo mentale del bambino.


Strategie 1 e 2: favorire l'integrazione orizzontale tra emisfero destro e emisfero sinistro

Favorendo un’integrazione orizzontale, si può aiutare il bambino a rimanere in contatto sia con la propria parte emotiva che con quella razionale.


  • Strategia 1: Entrare in sintonia con l’emozione del bambino e reincanalare.

Se il bambino è sommerso dalle emozioni (emisfero destro), urla o piange apparentemente senza motivo, o dà spiegazioni incoerenti, o se la prende con il genitore apparentemente senza motivo (es. “non mi dai mai niente”) ma pieno di rabbia o di altre emozioni pervasive, non è il momento adatto per spiegargli i fatti (emisfero sinistro). È invece il momento di sintonizzarsi con il bambino, di ascoltare il suo emisfero destro e rispondere con il proprio emisfero destro, di entrare in sintonia con lui e la sua emozione, stargli vicino, anche fisicamente o con il tono della voce (comunicazione non verbale, da emisfero destro ad emisfero destro), raccogliere le sue emozioni e dimostrare di averle capite e di rispettarle. Questo gli consentirà di “cavalcare l’onda” delle emozioni invece di esserne sommerso, di iniziare a calmarsi, e da lì sarà possibile iniziare a lavorare insieme per l’integrazione, a dare un nome alle cose, a spiegarle, reincanalando l’interazione con l’emisfero sinistro, e iniziando a trovare insieme un senso logico, una spiegazione, e infine una soluzione.

Naturalmente il fatto che il bambino non abbia “disponibile” al momento della crisi il cervello sinistro (quello logico, delle regole) non significa accettare che manchi di rispetto o stravolga le regole della famiglia: sapere che è sommerso dalle emozioni non è una scusa per il genitore per abdicare alla sua funzione educativa. In questi casi potrà essere necessario allontanarlo dalla situazione o fermare il comportamento distruttivo prima di sintonizzarsi con lui, e le regole verranno poi discusse in un secondo momento, dopo essersi sintonizzati (emisfero destro), quando l’emisfero sinistro (quello della “legge”) entrerà in gioco nell’integrazione.

Ci possono inoltre essere anche situazioni di crisi in cui l’emotività è talmente accesa da poter solo aspettare insieme a lui che passi la tempesta; non sarà possibile allora cavalcare l’onda, ma sarà poi comunque possibile riprendere il lavoro sull’integrazione in un secondo tempo, parlando con il bambino delle sue emozioni.


  • Strategia 2: Nominare le proprie emozioni per dominarle

È esperienza comune a molti il fatto che raccontando un evento emotivamente carico, l’emotività man mano si vada placando. Ciò accade in quanto la narrazione, il poter nominare i fatti e le emozioni, consente di integrare i due emisferi: mentre l’emisfero sinistro racconta il senso logico dei fatti, gli eventi, i dettagli, utilizza il linguaggio e la logica, allo stesso tempo l’emisfero destro contribuisce portando le emozioni, le sensazioni corporee e i ricordi autobiografici. Se il bambino è inondato dalle emozioni forti dell’emisfero destro, e qualcuno lo aiuta invece ad utilizzare l’emisfero sinistro per dare un nome ai fatti e alle emozioni spaventose e senza nome che sta provando, potrà andare verso l’integrazione e poi affrontarle.

Chiedere al bambino di raccontare un fatto (che sia una semplice caduta durante la corsa oppure un evento traumatico, un lutto ecc.) è utile. Chiedere di raccontare non significa esporlo ad una ulteriore e inutile sofferenza riportandolo a pensare a quei fatti, anzi: raccontare lo aiuta a dare un senso all’accaduto, a comprenderlo e ad integrarlo con le emozioni, arrivando a rapportarsi meglio con l’evento anche dal punto di vista emotivo.

La narrazione, gestita dal genitore e integrata man mano dal bambino, funziona efficacemente – ci ricordano gli autori – anche con bambini molto piccoli, già dal primo anno di vita. Crescendo, il bambino acquista maggiori competenze, anche linguistiche, e può assumere sempre di più il ruolo di narratore, mentre il genitore diventa progressivamente un semplice facilitatore della narrazione, che guida il bambino nel nominare le emozioni e nel narrare i fatti.


Strategie 3, 4, 5: favorire l'integrazione verticale, tra istinto e riflessione

Queste tre strategie riguardano l’integrazione in senso “verticale”, tra la parte “rettiliana” (più "bassa", primitiva, che riguarda emozioni intense, reazioni corporee e istinti) e la parte “mammifera” (più "alta", evoluta, riguarda i processi mentali più complessi, il pensiero, l’immaginazione, la pianificazione), integrazione che consente poi di prendere delle buone decisioni, di pianificare, di comprendere sé stessi e di provare empatia per gli altri, e di avere una senso morale.

La parte superiore del cervello, a differenza della parte inferiore che è già presente alla nascita, arriva a completo sviluppo solo verso i 24 anni. Quindi spesso vediamo bambini che rimangono “bloccati” nella parte inferiore (dominati da istinti, da rabbia furiosa, o incapaci di prendere decisioni giuste o di provare empatia) semplicemente perché la parte superiore non si è ancora sufficientemente sviluppata.


  • Strategia 3: attivare la parte superiore del cervello senza infiammare quella inferiore

Quando un bambino è bloccato nelle modalità tipiche della parte inferiore del cervello, ad esempio in una crisi di collera, il genitore, invece di far ricorso alla propria autorità e lanciare un ultimatum (es. “se non smetti e ti comporti meglio, non vai a giocare con gli amichetti”, scelta che comunque è possibile e a volte utile, pur non creano un’occasione di sviluppo dell’integrazione), può scegliere di far ricorso alla parte superiore del cervello. E quindi, invece di infiammare la parte inferiore e primitiva scatenando ulteriore rabbia, può decidere di rivolgersi alla parte superiore e di attivarne le funzioni. Per fare ciò il genitore dovrà prima entrare in sintonia con l’emozione del bambino e reincanalarla e nominarla (strategia 1 e 2) e successivamente dovrà attivare le modalità tipiche della parte superiore, quindi fare ricorso alle funzioni superiori: alle capacità decisionali, di programmazione, di ricerca di soluzioni alternative, ecc., guidando il bambino in questo percorso di ricerca di soluzioni che ancora non possiede pienamente e che sta sviluppando.


  • Strategia 4: allenare la parte superiore del cervello

La parte superiore del cervello, come un muscolo, va tenuta in allenamento perché funzioni bene. Il genitore quindi, oltre a rispondere a questa parte del cervello quando se ne presenta l’occasione invece di rivolgersi alla parte inferiore del cervello, può anche creare attivamente delle situazioni per stimolare le funzioni della parte superiore, andando così a sostenere anche la plasticità del cervello e agendo sulla struttura stessa delle connessioni neuronali. Le funzioni sono:

- Capacità di decidere con giudizio: richiede al bambino di valutare  le alternative, di soppesare i possibili esiti, di sopportarne le conseguenze, il tutto in autonomia, mentre il genitore deve sforzarsi di sostenere questa autonomia evitando di sostituirsi al bambino nel prendere le decisioni. In tal modo vengono allenate le funzioni superiori quali pensiero, programmazione, decisione, ecc., accettandone le conseguenze.

- Capacità di controllare le emozioni e il corpo: importante soprattutto per i bambini più piccoli (ma non solo), permette di non perdere il controllo durante le situazioni critiche e di prendere delle decisioni buone. Anche questa è una capacità che si può sviluppare, anche imparando specifiche tecniche (es. fare un respiro, contare fino a dieci) o capendo come funzionano i due piani del cervello, o aiutandoli ad esprimere le emozioni, o consentendo loro di prendere a pugni un cuscino, ecc. Si attivano così percorsi alternativi alla perdita del controllo, andando a rafforzare la parte superiore del cervello.

- Comprensione di sé: si può sviluppare ponendo ai bambini delle domande che li aiutino ad approfondire alcuni aspetti delle cose che stanno sperimentando o facendo, o attraverso la scrittura del diario o i disegni.

- Empatia: si può sviluppare ponendo domande semplici al bambino che gli permettano di riflettere sui sentimenti dell’altro, nelle normali interazioni quotidiane con gli altri.

- Moralità: il suo sviluppo è sostenuto dalle funzioni precedenti. Si può favorire sollevando con i bambini alcune questioni etiche e morali nei discorsi di ogni giorno (compatibilmente con l’età e ricordando che ci saranno anche delle incoerenze dovute all’ancòra incompleto sviluppo fisiologico del livello superiore del cervello) o anche sollevando questioni ipotetiche (es. “andrebbe bene passare con il rosso se ci fosse un emergenza?”).


  • Strategia 5: muovere il corpo per non perdere la testa

Quando la parte inferiore del cervello fa la parte da leone mentre la parte superiore non sembra accessibile, a volte può essere utile ricorrere all’attività fisica che, come alcuni studi dimostrano, influisce direttamente sulla chimica cerebrale. Attraverso il movimento o il rilassamento, quindi, modifichiamo il nostro stato fisico e questo può modificare il nostro stato emotivo (come quando ad es. il solo fatto di respirare lentamente e profondamente ci tranquillizza), favorendo di conseguenza poi l’integrazione.


Strategie 6 e 7: integrare passato e presente

In alcuni casi sarà necessario occuparsi di un’integrazione che interessa i ricordi e l’effetto che questi possono avere sul presente anche in modo non consapevole. La memoria infatti può essere di due tipi: memoria implicita, con ricordi di cui non si è consapevoli (es. so come si va in bici e non devo ripensarci passo passo ogni volta, procedo automaticamente), e memoria esplicita, che riguarda ricordi di cui ho piena consapevolezza e che posso raccontare (se ripenso alla prima volta in bici ricordo tutto: chi teneva il sellino per non farmi cadere, il sole caldo, il profumo del pesco, le parole di incoraggiamento, ecc.).

La memoria implicita influenza inconsapevolmente le azioni nel presente (es. permette di andare in bici automaticamente), ma può anche interferire con il presente qualora i ricordi di cui non si è consapevoli siano dolorosi o traumatici. Molto spesso questi ricordi impliciti sono “immagazzinati” in modo non omogeneo, come pezzi sparsi di un puzzle, non tutti insieme, ma con parti che si associano ad altri ricordi. In questo caso può accadere che nel bambino si attivi una risposta emotiva che non sembra congrua (es. si rifiuta con rabbia di andare in bici, pur riconoscendo che a lui è sempre piaciuto e piace ancora andare in bici), perché probabilmente legata ad un ricordo implicito, di cui non ha consapevolezza, ma che ora interferisce (es. il genitore si ricorda che proprio in quella zona quando andava i n bici tanti anni prima è stato rincorso da un cane, e si è spaventato). In questo caso il genitore può aiutare il bambino ad integrare i ricordi, ad unire il puzzle, a rendere esplicito ciò che era implicito, ad illuminare i ricordi dolorosi grazie alla luce della comprensione, in modo da poterli poi gestire con consapevolezza e sensibilità.


  • Strategia 6: rivedere il passato, tenendo il telecomando

Per integrare i ricordi si può aiutare il bambino a individuare le esperienze dolorose che lo influenzano senza saperlo, le si possono poi “guardare” e portare alla luce, esplicitandole, in modo che l’immagine completa sia visibile, comprensibile e possa integrarsi. Siegel e Payne Bryson suggeriscono di invitare il bambino ad utilizzare una sorta di “dvd interno”, grazie al quale, una volta che il genitore lo aiuta ad individuare l’episodio disturbante di cui non aveva consapevolezza, egli può, grazie alla narrazione offerta dal genitore, “guardare” e ascoltare solo le scene che in quel momento riesce a sopportare, utilizzando le funzioni di pausa, avanti veloce, riavvolgi, per poter stoppare e saltare le parti più difficili, e magari andare a rivederle subito dopo aver visto il lieto fine, o ritornare più volte su punti più complessi. Il fatto che sia il bambino a “tenere il telecomando” gli consente di sentire di avere il controllo su ciò che deve affrontare e gli permette di andare al ritmo adatto alla sua capacità di elaborazione dell’evento. Si possono così riunire i pezzi del puzzle, e integrare i ricordi impliciti con quelli espliciti attraverso la narrazione.


  • Strategia 7: ricordarsi di ricordare

Anche la memoria va esercitata. Aiutare i bambini a ricordare, far loro raccontare le proprie esperienze, anche più volte, li aiuta ad integrare i ricordi impliciti e i ricordi espliciti. Per farli esercitare a ricordare si possono porre delle domane (di complessità adeguata all’età) sugli eventi della giornata, o invitarli a tenere un diario. Attraverso il racconto della propria storia e degli eventi della giornata è possibile per il bambino favorire la costruzione di significati, e ciò migliora la sua capacità di comprendere le esperienze passate e di conseguenza a capire meglio quelle del presente.


Strategie 8, 9 e 10: integrare le diverse parti di sé

Il genitore può aiutare il bambino a capire che egli ha la capacità di riflettere sui propri stati mentali, e che sulla base di ciò può compiere delle scelte che gli consentano di decidere come sentirsi e come reagire ai vari eventi. Il bambino può quindi imparare che egli non è solo il bambino che ha paura del tal evento, ma che è anche il bambino che si diverte col papà, o che è sereno quando gioca nel cortile, e può imparare a dirigere l’attenzione sui diversi aspetti di sé, sui propri stati mentali, non identificandosi più con uno di esso come fosse un tratto permanente (es. “sono un bambino pauroso”), ma definendoli come stati temporanei (es. “in quell’occasione ho provato paura”), che egli ora può integrare, e verso i quali può decidere come dirigere l’attenzione, decidendo come reagire. Per fare ciò può essere utile la mindsight elaborata da Siegel e l’esercizio della “ruota della consapevolezza” (Siegel, 2010).


  • Strategia 8: Le emozioni vanno e vengono

Il genitore, oltre ad aiutare il bambino a conoscere e comprendere le proprie emozioni, può insegnagli che le emozioni non durano per sempre. Ciò può essere difficile da capire per un bambino, che quando si sente triste o arrabbiato si sente come se lo dovesse rimanere per sempre. Ma il genitore può aiutarlo a capirne la transitorietà, in modo che il bambino possa vivere l’emozione come temporanea, come legata ad uno “stato permanente”, e non ad un “tratto duraturo” di sé, e quindi possa poi integrare le diverse parti di sé.


  • Strategia 9: le S.P.I.E.: dare attenzione a Sensazioni, Pensieri, Immagini, Emozioni dentro di noi

Il genitore può insegnare al bambino a riconoscere le S.P.I.E. (sensazioni, pensieri, immagini, emozioni) della propria mente, aiutarlo ad approfondire la loro conoscenza con domande, in modo da aiutarlo a riconoscere i diversi aspetti che operano dentro di lui, ad acquisire maggiore consapevolezza e conoscenza di sé e di conseguenza una maggiore capacità di controllo e di integrazione tra le diverse parti di sé.


  • Strategia 10: mindsight

Per favorire la possibilità di dirigere l’attenzione su diversi stati mentali e per favorire successivamente la loro integrazione è possibile utilizzare alcuni esercizi di mindsight che aiutano il bambino a calmarsi e a favorire l’integrazione tra i diversi sentimenti e desideri, quali ad esempio gli esercizi di rilassamento (es. sentire il proprio respiro che entra ed esce dal naso e imparare a spostare l’attenzione sul respiro – associato ora alla sensazione di calma – quando si presentano pensieri disturbanti; oppure visualizzarsi in un luogo in cui ci si sente tranquilli e calmi).


Strategie 11 e 12: integrazione fra il sé e l'altro

Sono strategie volte a far capire ai bambini il senso di realizzazione e la felicità che si possono provare quando si crea il “noi”, quando si instaura un legame con gli altri, pur mantenendo la propria unicità.

Il cervello è un organo sociale: riceve i segnali che provengono dall’ambiente sociale (interpersonale), e questi vanno ad influenzare il mondo interno (intrapersonale). Per costruire il “noi” sarà necessario per il bambino avere a disposizione non solo una dotazione biologica (es. neuroni specchio) ma anche un insieme di modelli di relazione (relazioni di attaccamento) sperimentati nelle interazioni significative, che porranno le basi per il modo in cui si relazionerà con gli altri per il resto della vita. Sarà necessario aiutare il bambino a sviluppare le necessarie abilità sociali, che consentano poi di entrare in risonanza e sviluppare relazioni anche intime, pur mantenendo la propria unicità e identità.


  • Strategia 11: aumentare occasioni di divertimento famigliare

Aumentando le esperienze piacevoli che i bambini sperimentano in famiglia, si favorisce la loro possibilità di comprendere come sia intrattenere una relazione affettuosa e piacevole, e ciò li stimola a intrecciare altre relazioni dello stesso tipo anche in altri contesti.


  • Strategia 12: insegnare ai bambini a tenere in mente il “noi” anche nel conflitto

Dato che le relazioni implicano spesso anche la presenza del conflitto, è importante aiutare i bambini ad imparare delle abilità che grazie alla percezione e comprensione della mente dell’altro consentano loro di gestire il conflitto. Man mano che aumenta la capacità di comprendere i sentimenti dell’altro, allo stesso tempo si creano connessioni sempre più forti nei circuiti relazionali del cervello.

Possiamo sviluppare tre abilità importanti: la capacità di vedere con gli occhi dell’altro e da un diverso punto di vista; la capacità di andare oltre la comunicazione verbale ascoltando anche il non verbale e cercando la sintonizzazione; la possibilità di riparare un torto manifestando atti di pentimento che possano dimostrare che si è pensato ai sentimenti dell’altro e alla relazione.


Ricadute positive sul futuro del bambino

È quindi possibile, secondo l'approccio formulato da Siegel e Payne Bryson, usare delle strategie per favorire una maggiore integrazione tra le diverse parti del cervello del bambino, in senso "verticale" e "orizzontale", ma anche tra il passato ed i presente, e tra il Sé e il Noi. Utilizzandole, esse andranno ad agire rafforzando i circuiti neuronali implicati, consentendo quindi di ottenere dei risultati duraturi e uno sviluppo della mente e delle sue potenzialità.

Tutto ciò quindi consentirà di avere dei risultati positivi e di aiutare il bambino a stare bene non solo nel presente, ma anche di ottenere delle ricadute positive sul futuro, grazie ad un maggiore grado di integrazione e all’acquisizione di una serie di strategie che gli daranno dei benefici non solo in adolescenza ma anche in età adulta.



08 novembre 2017


Articolo a cura della dott.ssa Erika Debelli, la riproduzione parziale o totale dello stesso è consentita solo citando il nome dell'autrice.



BIBLIOGRAFIA

  • Lingiardi V., Amedei G., Caviglia G., De Bei F., “La svolta relazionale. Itinerari italiani”, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2011
  • Siegel D.J. (2010), “Mindsight. La nuova scienza della trasformazione personale”, Raffaello Cortina Editore, 2011
  • Siegel D.J., Payne Bryson T. (2011), “12 strategie rivoluzionarie per favorire lo sviluppo mentale del bambino”, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2012.