ADOLESCENZA E LIMITI: POTERE TUTTO E' POTERE NIENTE

Ancora una volta un altro tragico fatto di cronaca (qui l'articolo su La Repubblica) ci fa interrogare sull’adolescenza. Una giovane vita è stata spezzata a seguito di un comportamento ad alto rischio che purtroppo ha avuto l’esito peggiore, con l’investimento del ragazzo diciassettenne che si sarebbe sdraiato sulla carreggiata per filmare con il cellulare il passaggio dell’amico sullo scooter. La ricerca del limite, della realizzazione dell’impensabile e dell’impossibile, il mancato riconoscimento del rischio, hanno prodotto questa volta un esito nefasto. 

La ricerca del limite rientra in un certo senso - diciamocelo pure anche se potrebbe spaventare - nell’ordine naturale delle cose quando si tratta di adolescenza. Per cui, senza voler accusare qualcuno o cercare a tutti i costi un colpevole in un evento tragico che di colpevoli intenzionali purtroppo non ne ha, e che di scie di colpa ne lascerà già fin troppe, vorrei soffermarmi a riflettere sul significato di questi agiti in adolescenza, analizzandoli in un senso più generale.

La ricerca del limite in adolescenza è un fatto normale, ed è sollecitata in fondo proprio dal desiderio di incontrare questo limite. O di incontrare qualcuno che questo limite sia in grado di porlo in modo chiaro.

Spesso gli adolescenti, al di là della normale curiosità che una vita in pieno divenire e un mondo da scoprire portano con sé, sperimentano un insieme di emozioni conflittuali e ancora poco definite.

C’è in adolescenza un “trambusto” emozionale, dovuto anche al fatto che al desiderio di procedere nello sviluppo e di affrancarsi dall’infanzia grazie ad una crescente autonomia, si affianca e si contrappone il desiderio di permanere in un mondo rassicurante (quello dell’infanzia) in cui tutto era chiaro in quanto erano gli altri (in primis i genitori) a definirne i criteri e a renderlo comprensibile. All’interno di questo contesto il preadolescente poteva più o meno serenamente identificarsi con i genitori e con le loro regole.

Ma con l’entrata nell’adolescenza si apre per ogni ragazzo o ragazza un nuovo e naturale compito evolutivo: egli deve riuscire ad abbandonare progressivamente gli spazi angusti dell’infanzia e muoversi verso la creazione di una nuova e personale identità, ricercando altre figure con cui identificarsi. Sono gli anni in cui gli amici diventano più importanti della famiglia, in cui si sperimentano nuovi slang, nuovi look, nuove appartenenze politiche o musicali, in cui l’allenatore di calcio o il professore di lettere diventano i nuovi fari della propria vita e i nuovi punti di riferimento della nascente identità, ma in cui allo stesso modo anche l’amico trasgressivo o patologico possono diventare un riferimento. Le regole genitoriali non sono più soddisfacenti e sufficienti, si cerca altro. Le condotte trasgressive possono quindi a questo punto diventare un modo che, entro certi limiti, è normale e sano per affrancarsi dalla “legge genitoriale” e iniziare un proprio percorso di autonomia e individuazione, volto alla creazione di una identità nuova. In fondo sono altre le regole che ora si riconoscono, ad esempio quelle del gruppo.

Tuttavia è proprio il caos emozionale che si sta attraversando che rende ancora più necessario l’incontro con il limite e con le regole, e che spinge l’adolescente a ricercare questo limite ancora di più, spesso inconsapevolmente, e a cimentarsi sempre di più con esso. La sua ricerca si fa insistente, e potrebbe evolvere verso derivati patologici che si possono esprimere a diversi livelli.

A livello corporeo la ricerca del limite potrebbe pertanto esprimersi in senso patologico attraverso ad esempio un disordine alimentare come l’anoressia, che nel corpo emaciato e privo di forme o muscoli nega in un certo senso lo sviluppo stesso dell’adolescente. Oppure potrebbe esprimersi attraverso una sessualità agita e vissuta a livello corporeo, ma senza connessioni intime e profonde con l’altro e, soprattutto, con il sé.

A livello relazionale la ricerca patologica del limite potrebbe esprimersi ad esempio attraverso alcuni tipi di condotte aggressive che pungolano il mondo esterno affinché questo ponga quell’agognato limite all’adolescente. Pensiamo ad esempio alle condotte aggressive comparse nella cronaca nazionale verso la fine dello scorso anno scolastico (mi riferisco naturalmente solo a quegli eventi che hanno coinvolto direttamente alunni e docenti, non a quelli nei quali erano direttamente coinvolti anche i genitori e che richiederebbero un altro e più ampio tipo di riflessione). Adolescenti che “sfidando” professori inermi seduti alla cattedra, con il complice sostegno della classe che riprende il tutto con lo smartphone, sembrano in realtà aspettare solo che un adulto li riporti in una rassicurante dimensione in cui può essere definito in modo chiaro chi è l’adulto, chi non lo è, e quali sono le regole. Ma il mancato incontro con le regole li lascia soli in balia di se stessi e di quel marasma emozionale ed evolutivo che non sanno ancora comprendere e gestire.

La ricerca del limite infine spesso si manifesta attraverso comportamenti a rischio, comportamenti autolesivi, o trasgressioni di vario grado. Tutto ciò può tradursi in condotte pericolose, a volte ad altro rischio per la salute fisica e psichica dell’adolescente. In questi agiti normalmente non entra in gioco il pensiero (ed è per questo che li chiamiamo “agiti”) in quanto ciò che conta è la “scarica” di qualcosa che non riesce ad essere pensato, che non può accedere al pensiero, di cui si percepisce solo vagamente ma minacciosamente l’aspetto disturbante, e che deve essere subito scaricato in qualche modo.

In sostanza possiamo dire che quando incontriamo un adolescente ci troviamo spesso a dover fare i conti con il limite, perché è l’adolescente stesso che si sta cimentando con esso. E noi adulti dovremmo essere sufficientemente maturi da poterglielo offrire: con le regole, con l’esempio, con il supporto, o con il metodo che di volta in volta si rende più adatto ad ogni diversa situazione e ad ogni diverso adolescente. E glielo dobbiamo offrire non perché siamo adulti controllanti, liberticidi, o despoti in famiglia, ma in quanto siamo adulti, e come tali dovremmo essere in grado di spiegare che “potere tutto”, senza limiti, non è la panacea a tutti i mali: potere tutto è soltanto l’altra faccia del non potere niente. E non possiamo lasciarlo da solo a gestire questi suoi aspetti più fragili e impotenti, aspetti che di volta in volta si nasconderanno dietro maschere di arroganza, di ipersessualità, di condotte a rischio o altro. Dobbiamo offrirgli guida, pensiero, contenimento, limiti.