Gli attacchi di panico

Gli attacchi di panico sono caratterizzati dall’insorgere improvviso di una sensazione di pericolo, di panico, di disagio acuto che in pochi secondi o pochi minuti raggiunge un picco estremo, e si manifestano con modalità fortemente disturbanti sia sul piano fisico che psichico, andando ad interferire con la normale gestione della quotidianità della persona e della sua vita lavorativa, relazionale, personale.

Quando arriva un attacco di panico, infatti, tutto sembra diventare impossibile: anche solo gestire la propria quotidianità, uscire a comperare il pane, o andare al cinema con un amico, o prendere la macchina per andare a lavorare. Tutto sembra quasi "implodere": manca il respiro, non ci si riesce a muovere, il terrore pervade corpo e mente e si ha la sensazione di morire oppure di impazzire.

Le sensazioni tipiche di un attacco di panico possono spaventare enormemente chi lo sta sperimentando e chi gli sta accanto. Tuttavia è possibile intervenire e ottenere dei buoni risultati rivolgendosi alla psicoterapia.

La psicoterapia psicoanalitica consente di affrontare il disturbo da attacchi di panico andando andando alla base del problema, non limitandosi alla sola riduzione della sintomatologia, ma favorendo un cambiamento nel profondo che consente di raggiungere risultati soddisfacenti e duraturi nel tempo. Consente un recupero del proprio "controllo" (che diventa sempre più un "controllo interno" all'individuo), favorisce una risignificazione e una elaborazione dell'esperienza soggettiva, e consente infine di ritornare alla propria normale quotidianità.


Cosa sono gli attacchi di panico e come si manifestano? La sintomatologia.

Perché si possa parlare di attacchi di panico ci deve essere almeno un episodio in cui si manifestano in maniera acuta e improvvisa alcuni sintomi psicofisici, tra i quali ricordiamo:

palpitazioni e tachicardia, difficoltà a respirare, sudorazione, tremore, nausea o dolore addominale, dolore al petto, brividi o sensazione di caldo, sensazioni di stordimento, o di svenimento o di avere la “testa leggera”, parestesie, derealizzazione (cioè sensazione di irrealtà) o depersonalizzazione (cioè sensazione di essere “distaccati” da se stessi), sensazione “di morire”, paura “di impazzire” o di perdere il controllo.

Sono presenti una persistente preoccupazione con manifestazioni ansiose che, anche per lungo tempo, portano a temere la possibilità che ci sia un nuovo attacco o le sue conseguenze.

Questo forte livello di preoccupazione spesso porta il soggetto a mettere in atto importanti cambiamenti nei propri comportamenti abituali, principalmente con modalità di tipo evitante, per mezzo delle quali egli cerca di ridurre la possibilità di incorrere in nuovi attacchi, ad esempio evitando o riducendo le attività in situazioni o contesti nuovi e non conosciuti, o ritenuti possibili fonti di imprevisti, di scarso controllo, e di ansia. Naturalmente le strategie evitanti, anche se danno l'illusione di aver trovato un modo di gestire il problema, non sono la soluzione; anzi: rischiano di andare a rafforzare proprio quei sintomi d'ansia che si volevano combattere. La soluzione va cercata altrove, andando alla radice del problema.

Un attacco di panico può insorgere a seguito di eventi particolari, ma spesso può anche presentarsi inaspettatamente, senza che ci siano all’apparenza eventi “trigger” che possano essere ritenuti fattori scatenanti dell’episodio stesso.

Dopo il primo attacco, gli episodi possono ripetersi, e possono manifestarsi con piena sintomatologia, oppure con sintomatologia ridotta. Gli episodi di attacchi di panico possono infatti variare nel tempo, sia nella frequenza e severità, sia nei sintomi presentati, possono variare da un attacco di panico al seguente. È necessario pertanto che sia il clinico a valutare se effettivamente ci si trovi in presenza di un disturbo di attacco di panico o se sia necessaria una diagnosi di tipo diverso.


Il vissuto soggettivo negli attacchi di panico. Cosa sente chi ha un attacco di panico?

Chi soffre di un attacco di panico riferisce spesso di sentirsi come "sul punto di morire", di perdere il controllo del proprio corpo, oppure di perdere il controllo sul piano psichico, e quindi di impazzire. L’attivazione emotiva è intensa, acuta, spaventosa, accompagnata da un senso di impotenza, di minaccia per la propria integrità fisica e psichica.

Per quanto possa apparire spaventoso, tuttavia l'attacco di panico in sé si risolve generalmente da solo in breve tempo: può durare da pochi secondi ad alcuni minuti, fino generalmente ad un massimo di mezz’ora. Ma una volta finito l’attacco, persistono delle sensazioni di disorientamento, di sbandamento, di “testa confusa”, di stanchezza, di vertigini, che rendono difficile il recupero della normale attività.

È inoltre frequentemente la “paura della paura”, cioè la paura di avere un altro attacco di panico. Aumenta quindi lo stato di tensione, di ipervigilanza, di allerta, e vengono messi in atto quei comportamenti volti a limitare i rischi di incorrere in un’altra crisi (comportamenti evitanti: non uscire da solo, evitare spazi aperti da cui non si sente di potersi ritirare in modo sicuro velocemente, non allontanarsi da casa, ecc.). Lo stato di allerta continuo e persistente caratterizza l'ansia anticipatoria che, a differenza dell’attacco di panico vero e proprio, può durare anche varie ore. Chi soffre di attacchi di panico riesce di solito a distinguere le due diverse esperienza, anche in base al fatto che sull’ansia anticipatoria riesce in qualche modo ad agire portandola a volte ad una riduzione, mentre non riesce in alcun modo ad intervenire sull’attacco di panico, il quale si presenta come un evento del tipo “tutto o nulla": quando è innescato, non si può bloccare.

L’ansia si accompagna sul piano fisico a sintomi somatici, connessi a modificazioni a livello neruovegetativo: si può sentire “il cuore in gola” per le palpitazioni, possono esserci disturbi respiratori, vampate di caldo o brividi di freddo, tremori.

Spesso accade che chi si trova alle prese con i primi attacchi di panico non li riconosca come tali, e si rivolga inizialmente a vari medici (soprattutto - vista la sintomatologia - cardiologi) o al pronto soccorso (sentendosi “morire”). Si sottopone così a numerosi esami clinici e strumentali, che hanno anche un’importante funzione di rassicurazione rispetto all’ansia provata, ma che non portano a riscontri di patologia nei referti. All'arrivo di una nuova crisi (magari con sintomi diversi), nuovi esami e nuove diagnosi differenti o assenza di diagnosi non fanno che confondere il quadro generale. La funzione rassicuratoria degli esami clinici è inoltre solo temporanea, e spesso la patologia viene minimizzata dai medici i quali, non trovando riscontro obiettivo per una diagnosi di patologia, lasciano il paziente in balia della sua ansia, con diagnosi variabili di ipocondria, nevrosi cardiaca, sindrome da iperventilazione e così via. È fondamentale quindi, per offrire una terapia adeguata, partire dalla possibilità di riconoscere questa sintomatologia come dovuta ad un attacco di panico e quindi formulare una diagnosi corretta, che vada al di là della sintomatologia fisica.


Diagnosi e terapia

Una corretta diagnosi, come abbiamo visto, è fondamentale. Lo psicologo deve valutare la storia clinica del paziente, l’insorgenza ed il decorso dei sintomi e sulla base di questo formulare una diagnosi chiara (che escluda comunque prima eventuali disturbi su base organica) e proporre un’ipotesi di intervento.

A volte, ma non necessariamente, nel caso degli attacchi di panico può essere utile affiancare alla psicoterapia anche un intervento di tipo farmacologico, che riduca la sintomatologia in modo da poter lavorare in modo più efficace sul disturbo attraverso la psicoterapia.

La psicoterapia psicoanalitica consente un’indagine nel profondo al fine di individuare le dinamiche inconsce che sono alla base del malessere in cui si è sviluppato il disturbo da attacchi di panico. È possibile andare ad indagare il primo momento di insorgenza del disturbo (e di solito il soggetto ha un ricordo molto vivido del primo attacco di panico), recuperare la storia clinica e personale andando ad indagare come sia collegata agli attacchi, risignificare alcuni elementi critici, desomatizzare l’angoscia, andando a favorire una integrazione tra gli aspetti cognitivi ed emotivi ad essa connessi ed promuovendo un allargamento del pensabile.

Nella storia clinica del soggetto sono soprattutto i vissuti e le esperienze recenti di perdita quelle che sembrano maggiormente in relazione con i vissuti di imminente morte o follia durante l'attacco di panico, e su di esse sarà necessario indagare. Non si tratta necessariamente di perdite o lutti reali, ma possono riguardare anche ad esempio un trasferimento, o una promozione, o una separazione di coppia, o una crisi relativa al proprio Sé o alla propria immagine. Questi vissuti potrebbero essere spesso sono anche in relazione - in un tempo più lontano ma ancora attivo nella psiche - con un difetto di separazione da un genitore . Spesso infatti chi soffre di attacchi di panico sembra sia stato troppo impegnato ad assecondare i desideri del genitore, a rispondere e soddisfare la sua domanda (anche implicita) di realizzarne le aspirazioni, per riuscire a realizzare le proprie. Queste aspirazioni pertanto rimangono mute, inascoltate, non accessibili. Ma il disturbo, con tutta la sua sintomatologia, ritorna a ricordare al soggetto quanto è rimasto inascoltato, e a dar fiato (anche poco, interrotto, soffocato) a questa nuova necessità.
La possibilità di esplorare ed integrare questi aspetti consente al soggetto anche di aumentare lo spazio del pensabile, e la propria sensazione di autoefficacia e di controllo, che diventa sempre di più un controllo “interno”, andando a superare le precedenti esperienze destabilizzanti di perdita del controllo fisico e psichico, e riprendendo finalmente il controllo della propria vita.


BIBLIOGRAFIA:

  • A.P.A. - American Psychiatric Association, “DSM-5 - Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders – Fifth Edition”, American Psychiatric Publishing, Washington DC, 2013
  • AA. VV., “PDM – Manuale Diagnostico Psicodinamico”, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2008
  • Mc Williams N., (1994) “La diagnosi psicoanalitica”, Casa Editrice Astrolabio, Roma, 1999
  • Shakespeare W., “La tempesta”, Oscar Mondadori, Milano, 1991.
  • https://www.jonasonlus.it/cosa-facciamo/cura/attacchi-di-panico.html 


Il presente articolo è puramente informativo e non sostituisce la diagnosi di uno specialista. I contenuti sono descrittivi e rappresentano solo una breve e non esaustiva sintesi di alcuni aspetti clinici coinvolti nel disturbo.