In un momento difficile...

Ognuno di noi affronta a volte alcuni momenti difficili, oppure si trova vicino a congiunti, amici, conoscenti, parenti, che stanno affrontando momenti difficili. E ognuno di noi vorrebbe poter offrire aiuto e conforto, aiutare i propri cari ad uscire dalla sofferenza. Non sempre è necessario rivolgersi ad uno psicoterapeuta, a volte, se non ci sono ulteriori complicazioni, può essere di enorme conforto anche il solo sostegno dato da una persona cara attraverso semplici interventi e a volte anche semplicemente attraverso la propria presenza.

Sapendo ciò, la maggior parte di noi prova quindi ad offrire supporto con alcune frasi tipiche. Ma non sempre queste frasi, pur se dette con le migliori intenzioni, garantiscono di essere utili.

Se il nostro caro sta ad esempio attraversando una separazione di coppia, potremmo trovarci a dire “in fondo non eravate fatti per stare insieme, troverai di meglio”. Se sta affrontando un lutto potremmo ricorrere ad un tranquillizzante “ora si trova in un posto migliore”. Se ha affrontato una dura lite al lavoro potremmo calmare le acque dicendo “lascia perdere, non ne vale la pena”. Se non ha passato un esame a scuola o all’Università nonostante l’impegno potremmo dire banalmente “ti passerà”.

Ma spesso queste frasi non producono il risultato sperato, anzi.

In quello specifico momento, infatti, mentre cerchiamo di consolarla, la persona sta affrontando una condizione di disperazione, di forte sovvertimento emotivo, di intensa preoccupazione per la sua futura condizione di vita. 

Ad una persona che sta affrontando una separazione non interessa sapere se fosse o meno fatta per stare con quel partner: in quel momento sente solo il dolore dell’abbandono ed il peso della solitudine. 

Ad una madre che ha perso un figlio in un incidente o per una malattia poco importa sapere che ora sta in un posto migliore: sa che in quel posto lei non potrà esserci per prendersi cura di lui, aiutarlo a crescere o fare progetti per il futuro, sa che non potrà più sentire il suo abbraccio o la sua voce. 

A chi ha litigato al lavoro, o ha perso il lavoro, e magari si sente messo in discussione rispetto alla sua intera identità professionale, risulta impossibile “lasciare perdere e andare oltre”, perché significa rinunciare a quell’aspetto della sua identità che magari vive come fondante la sua identità complessiva, significa magari sentirsi annullato o non riconosciuto dai colleghi o dai superiori. 

Chi non ha superato un esame scolastico o universitario, sa sicuramente che gli “passerà” e che ci saranno altre sessioni di esame, ma in quel momento sente che i piani per il futuro sono in forse, i tempi rischiano di allungarsi e vanno ridefiniti, si perdono in un orizzonte temporale che pare ora infinito oltre che indefinito, e l’intero progetto di vita sembra essere in discussione o rallentato; non vedersi riconosciuto o vedere sminuito questo concatenarsi di preoccupazioni può rendere ancora più dolorosa la situazione.

Eppure nella trappola di queste frasi “consolatorie” cadiamo a volte inavvertitamente un po’ tutti. E lo facciamo nonostante le nostre migliori intenzioni, sicuramente non siamo spinti dall’intenzione di esacerbare il dolore del nostro congiunto. Cosa si cela quindi dietro la scelta di ricorrere a queste frasi? E soprattutto cosa potremmo fare per essere effettivamente di supporto ai nostri cari?

Fondamentalmente dietro il ricorso quasi automatico a questo tipo di frasi possiamo trovare la paura del dolore

Quando vediamo un nostro congiunto soffrire, quello che notiamo è il suo dolore e la sua sofferenza, e ciò ci può fare stare altrettanto male. Nessuno di noi vorrebbe vedere soffrire i propri cari. Stiamo male per loro e con loro. Ed allora il ricorso a queste frasi consolatorie tipiche ci consente di mettere innanzitutto una distanza tra noi ed il dolore che sentiamo nel nostro caro, e che vorremmo non esistesse, e che si riattiva anche in noi.

Ci allontaniamo quindi dal momento presente del dolore, spostiamo il focus temporale, e dipingiamo un quadro futuro positivo in cui l’altro possa immaginarsi. Gli parliamo del futuro che andrà meglio, del tempo che guarisce tutto, del fatto che tutto prima o poi passa. E così vorremmo evitare di sostare dentro il suo dolore. E vorremo che anche lui cercasse di non stare dentro quel dolore, perché vorremmo sinceramente che stesse meglio. Ma egli può non essere ancora pronto a guardare al di là del dolore. 

Di fatto con frasi di questo tipo, rischiamo di negargli il diritto di sentirsi triste, desolato, sofferente, e di farlo quasi sentire in colpa se in questi momenti così difficili si sente – come è naturale che sia – proprio così: triste, addolorato, sconfitto. In quel momento invece può essere salutare che egli si conceda il tempo e la possibilità di vivere il dolore, per poterlo poi veramente ed efficacemente superare, e non solo negare. Perché, come sosteneva anche C. Pavese “Non ci si libera di una cosa evitandola, ma soltanto attraversandola”.

Un altro modo che spesso utilizziamo per allontanarci dal dolore è quello di togliere il focus dell’attenzione dalla persona che sta soffrendo e spostarlo su di noi, con frasi del tipo “ti capisco, anche a me è successo che...”. Non necessariamente si tratta di egocentrismo o manie di protagonismo, a volte vogliamo semplicemente e sinceramente condividere la nostra esperienza per mostrare come ci sentivamo noi e come ne siamo usciti. Ma in quel momento non dovrebbe essere il nostro dolore passato (o il riattivarsi di questo dolore in noi mentre osserviamo la situazione dell’altro) a porsi al centro dell’attenzione. Dovremmo rimanere su quello che l’altro sta vivendo. Altrimenti non solo potrebbe sentire non compreso per quello che sta veramente vivendo, ma potrebbe sentirsi quasi tenuto paradossalmente a consolarci per quello che abbiamo vissuto noi nel passato.

Cosa fare dunque per aiutare un nostro caro a superare il dolore e la sofferenza in questi casi? B.D. Flaxington in un articolo pubblicato su Psychology Today riassume in quattro passi molto semplici alcune cose che potremmo fare:

 

1. Riconoscere le proprie risposte emotive al dolore dell’altro

Lo abbiamo appena detto: vedere l’altro che soffre, ci fa soffrire. E ciò in parte perché non vorremmo vedere i nostri cari stare male, ma in parte anche perché la sofferenza dell’altro può andare ad aprire una porta su un dolore simile che noi stessi abbiamo provato nella nostra vita. E magari è una porta che non vorremmo proprio aprire, che d’istinto vorremmo richiudere subito, magari anche sbattendola. Ma come ben sappiamo, se chiudiamo la porta alle emozioni, queste trovano altre vie. 

Quindi se vogliamo veramente essere d’aiuto, prima di tutto dobbiamo accettare anche la sofferenza che si riattiva in noi in risposta al dolore dell’altro. 

È normale che ci sia, ed è giusto così. Solo dopo averla riconosciuta potremo decidere cosa farne. Finché non la vediamo invece, essa agirà più subdolamente rischiando, come abbiamo visto, di portarci a dire cose che procurano sofferenza all’altro invece che sostegno. Possiamo invece impegnarci a separare le nostre sensazioni da quelle della persona che vogliamo consolare, spostando di conseguenza su queste ultime il focus dell’attenzione.

 

2. Riconoscere la mancanza di logica nelle risposte di dolore e lutto

Durante una fase di forte attivazione emotiva, di intenso dolore, di profonda sofferenza, dobbiamo aspettarci risposte non necessariamente logiche nella persona che soffre. Offrirle spiegazioni illuminate dal buon senso e dalla logica non aiuta. A livello razionale anche la persona che sta soffrendo sa che tutto passa, che tutti moriamo o che le cose possono non durare. Ma dirglielo in quel momento non aiuta. 

Il dolore sovverte la logica. La logica del dolore è in quel momento l’unica logica possibile, e l’unico linguaggio. 

Può essere d’aiuto riconoscerlo, e cercare quindi di stare in questo sistema, magari con frasi che rispondano più alle esigenze dell’empatia che a quelle della logica, come ad esempio “Posso capire che sia doloroso, anche se non riesco ad immaginare completamente quello che tu ora stai attraversando”.

 

3. Ascoltate

Sembra un consiglio banale, eppure è fondamentale. A volte, presi dal nostro desiderio di aiutare, o di proteggerci dal dolore, ci dimentichiamo di ascoltare ciò di cui l’altro ha veramente bisogno. 

E nei momenti di dolore molto spesso ciò di cui l’altro ha bisogno è semplicemente di essere ascoltato. 

Solo ascoltato. Senza spiegazioni, senza razionalizzazioni, senza dirgli come anche noi nel passato abbiamo affrontato cose simili. Senza cercare necessariamente soluzioni e senza negazioni. Solo ascoltare e far sentire all’altro che ci siamo, che siamo connessi al suo dolore, e che siamo lì per lui.

 

4. Rimanete in relazione con l’altro 

Rimanere in contatto con una persona che sta soffrendo, come abbiamo visto, può essere molto difficile. Tendiamo a difenderci dal dolore allontanandocene, sia nel momento del dolore più intenso (ad esempio mentre ci racconta l’appena avvenuta separazione o durante il funerale), sia nei periodi (giorni o mesi) successivi, in cui comunque il dolore necessita di un certo tempo per essere elaborato e superato. Se nel primo momento possiamo allontanarci dal dolore come abbiamo visto utilizzando quelle frasi, successivamente potremmo essere portati ad allontanarci anche fisicamente o riducendo le interazioni con chi soffre. Ma come nel primo momento a volte è sufficiente offrire ascolto per dare un certo sostegno e sollievo, allo stesso modo anche nei periodi successivi può essere anche sufficiente offrire la propria presenza, ad esempio lasciando un messaggio in cui si dice “se hai bisogno di aiuto ricordati che ci sono per te”, lasciandogli comunque il tempo e lo spazio necessari per attraversare e superare il suo dolore.

 

Se tutto procede per il meglio (e non ci sono complicazioni di altro tipo o cronicizzazioni della sofferenza per cui può essere magari utile l’intervento di uno psicologo) sarà poi la stessa persona, una volta superata la necessaria fase di dolore, che si sentirà pronta, arrivata ad un certo punto, a dirci “sì, è vero, tutto passa, il tempo guarirà tutto”.

 

 


Sitografia:

https://www.psychologytoday.com/us/blog/understand-other-people/201805/what-not-do-when-loved-one-is...