Le sindromi depressivi infantili - Intervista a "Live Social", Radio Veronica One
Traccia da cui ha preso spunto l'intervista rilasciata a gennaio 2019 a Radio Veronica One, all'interno del programma Live Social.
1) PARLIAMO DI SINDROMI DEPRESSIVE INFANTILI. LA DEPRESSIONE COLPISCE QUINDI ANCHE I BAMBINI?
Ebbene sì. La depressione colpisce anche i bambini. Saremmo portati a ritenere la depressione un “problema da adulti”, che colpisce persone già mature, e invece dobbiamo purtroppo riconoscere che la depressione si manifesta anche nei bambini, seppure con modalità peculiari e tipiche dell’età evolutiva.
L’età della spensieratezza non sempre è così spensierata come pensiamo, o come forse desidereremmo pensare.
I bambini con un disturbo depressivo si riconoscono facilmente: hanno un umore prevalentemente triste, appaiono quasi “spenti”, privi di energia, e anche il gioco o le relazioni diventano monotoni, piatti, vuoti.
Ma sovente la depressione si manifesta in età evolutiva anche in modo diverso, attraverso – potremmo dire – l’altra faccia della medaglia: la rabbia, l’irrequietezza, l’agitazione, a volte attraverso agiti e comportamenti aggressivi rivolti verso sé o verso gli altri, che nascondono però anche in questo caso vissuti depressivi che i bambini non hanno ancora la capacità di riconoscere, esplorare, o esprimere a parole.
2) ABBIAMO QUINDI NON SOLO L’UMORE TRISTE MA ANCHE LA RABBIA E L’IRREQUIETEZZA COME ELEMENTI CHE CARATTERIZZANO LA DEPRESSIONE INFANTILE.
LA DEPRESSIONE SI PUÒ DUNQUE MANIFESTARE IN TANTI MODI DIVERSI?
La manifestazione della depressione in età evolutiva è
effettivamente complessa e sfaccettata.
Possiamo parlare di sindromi depressive in quanto il disturbo depressivo non è qualcosa che si limita al solo manifestarsi del sintomo legato all’umore (la tristezza), ma è una condizione psicopatologica più articolata, una sindrome che comprende una molteplicità di sintomi concomitanti (che hanno poi ripercussioni su diverse aree di funzionamento del bambino: sull’area emotiva, cognitiva, relazionale, fisica).
In alcuni tipi di disturbi depressivi, come ad esempio nel disturbo depressivo maggiore o nel disturbo depressivo persistente (o distimia), la manifestazione principale è proprio la tristezza, che è pervasiva, una tristezza di cui il bambino è quasi “prigioniero”: in questi casi vediamo bambini tristi, spenti, vuoti, che hanno perso l’interesse per le normali attività che un tempo davano loro piacere. Ma i sintomi non si limitano al solo cambiamento dell’umore. Affinché si possa parlare di un disturbo depressivo la variazione dell’umore deve presentarsi per un periodo di tempo significativo insieme ad altri sintomi, che riguardano alterazioni del ritmo sonno-veglia, aumento o diminuzione del peso corporeo, difficoltà di concentrazione, riduzione dell’energia e rallentamento psicomotorio (oppure, al contrario, agitazione psicomotoria).
Ci sono anche altri tipi di disturbi depressivi dell’età evolutiva in cui invece non è tanto la tristezza, quanto una rabbia e un’irritabilità persistenti ad essere i sintomi caratterizzanti, come accade ad esempio nel disturbo da disregolazione dell’umore dirompente. Incontriamo in questo caso non dei bambini tristi, pur essendo affetti da un disturbo depressivo, ma dei bambini arrabbiati, irritabili, con frequenti scoppi d’ira, e con uno stato d’animo che rimane comunque irritabile in maniera continua anche tra un accesso d’ira e l’altro. Sono presi da una rabbia che non si attiva in risposta ad eventi scatenanti specifici, ma è spesso aspecifica, oppure di una intensità o di una durata sproporzionata rispetto all’evento che l’ha innescata (che può essere anche un evento piccolo e apparentemente insignificante), segnalando in tal modo una sofferenza sottostante che non trova altri canali di espressione e di comunicazione, e che quindi va ascoltata, più che punita o repressa.
3) IL BAMBINO DEPRESSO PUÒ QUINDI NON ESSERE SEMPLICEMENTE IL CLASSICO “BAMBINO TRISTE”. COME POSSIAMO CAPIRE ALLORA SE C’È UN PROBLEMA DEPRESSIVO NEL BAMBINO?
Sì, è proprio così: il bambino depresso può non essere solo il bambino triste. Anche se nel nostro linguaggio quotidiano ormai abbiamo quasi l’abitudine di usare i termini “triste” e “depresso” come fossero dei sinonimi, non è così. Abbiamo visto che anche un bambino “arrabbiato” potrebbe essere in realtà un bambino “depresso”. Naturalmente ogni situazione va valutata individualmente per fornire una corretta diagnosi.
Ci sono poi altri elementi, oltre all’umore, che segnalano la presenza del disturbo, e a questi segnali di disagio può prestare attenzione anche il genitore o chi (insegnante, educatore, ecc.) si relaziona col bambino.
- Naturalmente i segnali che fanno riferimento alla sfera emotiva sono quelli più immediatamente riconoscibili, come abbiamo visto. L’emotività è spenta, il bambino è triste e manca di energia, il gioco è monotono, le relazioni carenti, oppure al contrario egli è dominato dalla rabbia. Spesso compare il pianto. Sembra assente la possibilità di provare piacere, anche in ciò che prima dava piacere (giochi, sport, ecc.). Il bambino può sentirsi non amato, non adeguato, in colpa, tendere ad autovalutazioni negative, e ciò può accadere anche se si trova inserito in una famiglia amorevole e accudente. Nel mondo interno del bambino si fanno spazio preoccupazione e pensieri sulla morte (sia propria – anche con pensieri di suicidio – sia dei propri cari), pensieri che si possono individuare anche nel gioco o nei disegni, che spesso narrano questi temi.
- Anche la sfera
cognitiva subisce le conseguenze del disturbo: aumentano le difficoltà di
concentrazione, c’è un calo del rendimento scolastico (con ulteriori
ripercussioni negative sull’autostima). E questi sono campanelli d’allarme che
il genitore forse può riconoscere più facilmente.
- Sul piano delle relazioni assistiamo inoltre ad una chiusura e isolamento del
bambino (anche questo chiaramente individuabili da genitori o insegnanti) con
una riduzione non solo del numero delle interazioni o del gioco, ma anche della
qualità delle interazioni stesse, che
appaiono “spente”, superficiali, meccaniche, con scarso coinvolgimento.
- Altri segnali dei disturbi depressivi si individuano
poi anche sul piano fisico: si nota
un rallentamento psicomotorio
(un’estrema lentezza nei movimenti e nei giochi, stanchezza estrema, mancanza
di energia) oppure al contrario agitazione
psicomotoria (non riuscire a stare fermo, spesso con irritabilità e agiti
aggressivi verso sé o gli altri). Si possono manifestare disturbi a livello somatico senza una chiara origine
organica (mal di testa, mal di pancia, ecc.). Sono inoltre frequenti le
variazioni di peso corporeo (in
significativo aumento o calo) e le variazioni nel sonno (con difficoltà di addormentamento, risvegli notturni,
incubi, insonnia o ipersonnia).
4) A QUALE ETÀ PUÒ INSORGERE LA DEPRESSIONE? CI SONO DIFFERENZE IN BASE ALL’ETÀ?
In base non solo all’età del bambino, ma anche al suo livello di sviluppo e alle capacità cognitive ed emotive acquisite, ogni bambino si trova a poter disporre di capacità adattive, introspettive e comunicative diverse. Non dobbiamo quindi aspettarci che un bambino di 4 anni manifesti la depressione allo stesso modo in cui la manifesta un bambino di 10 o un adolescente di 15. È necessario differenziare.
La depressione può manifestarsi anche prima dei tre anni (anche se è più rara), e i report del Ministero della Sanità riferiscono che la diffusione del disturbo è di circa il 2% tra i bambini e del 4-8% tra gli adolescenti.
o Prima dei 3 anni i disturbi depressivi si manifestano prevalentemente su un piano fisico e neurovegetativo, oltre che nella relazione: sono presenti pianti eccessivi, irrequietezza, disturbi del sonno o dell’alimentazione, rallentamento nello sviluppo e disturbi somatici (vomito, diarrea, ecc.), oltre difficoltà ad interagire con gli altri e con il mondo: il bambino ha una ridotta mimica facciale, manca il sorriso sociale, non rivolge lo sguardo all’interlocutore, non ha interesse per i giochi o per l’esplorazione.
o Nell’età prescolare, tra i 3 e i 6 anni d’età, il disagio del bambino è più chiaramente visibile dall’esterno, in quanto è più evidente il suo tono dell’umore depresso oppure irritabile o aggressivo. Tuttavia il bambino non riesce ancora a riconoscerlo né a comunicarlo in modo chiaro. Sono frequenti quindi le richieste generiche di rassicurazione, oppure le preoccupazioni in merito al sentirsi non amato, alla propria inadeguatezza, alle difficoltà di socializzazione. Spesso il disturbo si manifesta attraverso lamentele sul piano somatico (cefalee, alopecia, mal di stomaco, ecc.), o ancora con alterazioni nel sonno o nell’alimentazione.
o In età scolare aumentano le capacità di introspezione, e le abilità cognitive e di comunicazione. I diversi vissuti possono venire quindi espressi in età scolare e in preadolescenza in modo un po’ più chiaro anche attraverso giochi, sogni, disegni.
o In adolescenza il disagio può essere finalmente verbalizzato in modo più complesso e completo. È prevalente l’anedonia, il senso di impotenza, le variazioni di peso corporeo, e possono verificarsi dei comportamenti aggressivi verso se stessi o verso gli altri.
5) È QUINDI UN QUADRO MOLTO COMPLESSO, CON NUMEROSE VARIABILI… COME INTERVENIRE? COSA POSSONO FARE I GENITORI?
Ciò che spesso i genitori mi chiedono è come possono fare a distinguere un normale disagio passeggero, una tristezza (che può essere normale e a volte anche utile alla crescita), da un capriccio o da un disturbo depressivo.
La tristezza in sé non va demonizzata, fa parte del ventaglio delle emozioni con cui tutti, sin da bambini, dobbiamo imparare a rapportarci, ed è utile imparare ad entraci in contatto e a conoscerla invece di negarla e sfuggile. Ma quando la tristezza non è più un evento passeggero, che colora le giornate dei bambini solo occasionalmente insieme a tutte le altre emozioni, quando invece c’è una persistenza di un umore triste oppure irrequieto, quando l’impossibilità di tradurre in parole il disagio porta magari ad isolarsi oppure ad agire comportamenti aggressivi per dare sfogo ed espressione ad una tristezza che si non riesce a riconoscere e a verbalizzare, allora è il caso di interrogarsi, di chiedersi se siamo di fronte ad un disturbo depressivo, ed è il momento di chiedere aiuto.
I genitori possono farsi quindi portavoce di quel disagio che non si riesce a riconoscere ma che pervade lo spazio familiare, scolastico, relazionale, e possono rivolgersi quindi ad uno specialista, ad uno psicoterapeuta, per differenziare quella che può essere una fisiologica e normale tristezza da quello che invece può configurarsi come un disturbo, e che in quanto tale può essere superato efficacemente con un buon intervento psicoterapeutico.
Ed è importante che questo intervento venga attivato al più presto, e ciò per tre ordini di ragioni:
1. Perché i bambini hanno bisogno di ridurre al più presto la sofferenza, al fine di poter proseguire serenamente nel loro percorso di sviluppo;
2. Perché i bambini hanno strutture psichiche molto mobili e in evoluzione, pertanto un intervento precoce consente di ottenere i migliori risultati in tempi relativamente brevi;
3. Perché un intervento precoce consente di impedire quell’evolversi “a cascata” dei sintomi, i quali ricadono sulle diverse aree di sviluppo del bambino (es. un bambino depresso e triste non riuscirà a relazionarsi con gli altri bambini in modo adeguato e a sviluppare congrue competenze relazionali che gli saranno poi utili anche in adolescenza o in età adulta).
Perché, ricordiamolo, la cura della depressione infantile è possibile. E passa attraverso la psicoterapia, in particolare la psicoterapia psicoanalitica o la psicoanalisi, che sono considerate tra le forme più efficaci di intervento psicoterapeutico per i disturbi depressivi, in grado di garantire ottimi risultati a breve e a lungo termine.
Il video dell'intervista completa è disponibile al link:
https://www.facebook.com/PsicologaDebelli/videos/2126437030751523/?modal=admin_todo_tour