Viaggi, fantasie, e l'illusione della conoscenza

Un’agenzia viaggi immaginaria…

Immaginate di entrare in un’agenzia di viaggi con l’intenzione di organizzare un viaggio in Australia. Avete sognato questo viaggio da tempo, ipotizzato itinerari, fantasticato incontri con aborigeni e koala, tra suoni di didgeridoo e profumi di una terra sconosciuta. Siete pronti alla scoperta e all’avventura. Ma non appena iniziate a parlare con il titolare dell’agenzia di viaggi, scoprite ciò che non avreste mai immaginato.

In questa ipotetica agenzia (che per fortuna esiste solo in questo racconto di fantasia), alla vostra richiesta, il titolare esclama con grande sorpresa: “Ma come? Un biglietto per l’Australia? Non sa che l’Australia non esiste?”. E mentre vi squadra attonito dall’alto in basso, inizia a snocciolare con enfasi le teorie sulla Terra Piatta, sull’effetto Pac-Man, l’inesistenza del continente australe, e così via.

Restate inizialmente sbigottiti e iniziate, dapprima timidamente, a controbattere riportandolo a ciò che secoli di studi hanno messo in evidenza. Ma lui imperterrito risponde con un diorama della terra piatta, costruito con ritagli di cartone da suo figlio che, come vi spiega orgogliosamente, “fa la seconda media ed è tanto bravo a scuola, non fosse per le nozioni sbagliate che gli insegnanti gli inculcano”.

E voi, che magari avete una formazione scientifica alle spalle, vi apprestate, ora con più enfasi e più veemenza e, ammettiamolo, ora forse leggermente irritati, a spiegare quello che da sempre si sa: la terra è sferica (o meglio: è un geoide) e l’Australia sarebbe anche un bel posto da visitare, se solo vi facesse questo benedetto biglietto aereo!

Ma il titolare dell’ipotetica agenzia non cede: spiega che non ha una formazione scientifica, ma in fondo i titoli non significano nulla, i diplomi non sono che pezzi di carta, e basta guardare i selfie fatti al mare: l’orizzonte è ...orizzontale, non è curvo! E quindi la terra – conclude senza possibilità di replica – non può che essere piatta.

A questo punto capite che è inutile insistere, e decidete di cercare un’altra agenzia di viaggi.

Ma vi rimane un senso di amarezza, un macigno sul cuore, pensando a quelle persone che fiduciose si rivolgeranno a questa agenzia ma non potranno visitare l’Australia, non potranno espandere i propri orizzonti, perché si affideranno a qualcuno che, senza averne le competenze, racconterà loro – sia pur in buona fede – delle falsità.

Questo è naturalmente un racconto di fantasia. Ma questa fantasia è nata da una sensazione di smarrimento provata leggendo un articolo che avrebbe voluto trattare (o così sembrava in base al titolo) tematiche psicologiche.

 

…e un viaggio in un articolo “fantasioso”

Spinta dal desiderio di esplorare nuove “terre”, nuove teorie o anche solo punti di vista diversi, ho iniziato a leggere con uno stato d’animo simile a quello del nostro viaggiatore: pronta ad esplorare. Mi sono munita della mia “attrezzatura”, mettendo nello “zaino” un’attenzione mirata, un pensiero aperto e vigile, e una mappa dei vari concetti psicologici per orientarmi nella lettura. Del resto il titolo mi incuriosiva e apriva a mille interrogativi e criticità: “L’ego: una trappola necessaria da cui possiamo liberarci”.

Ma riga dopo riga sembrava che l’effetto Pac-Man avesse metaforicamente anche qui la meglio: si veniva trasportati disinvoltamente e non si sa come da un concetto all’altro (concetti anche molto diversi tra loro) come fossero la stessa cosa.

Parlando di “Io” ad un certo punto si finiva a parlare del “Sé”, e poi ancora di “identità”, come fossero tutti sinonimi, non riconoscendone le differenze. Comparivano poi il “Sé”, il “falso Sé”, sempre definiti in modo soggettivo, non clinico, romanzato. Ciò rendeva sicuramente la lettura scorrevole, ma con lo stesso valore e la stessa credibilità delle spiegazioni riguardanti la presunta inesistenza dell’Australia. Alcuni concetti poi erano decisamente errati.

Insomma, al pari dell’ipotetico titolare dell’agenzia di viaggi del nostro racconto, l’autore di questo articolo ci conduceva in un itinerario parziale, su rotte inesatte, su una “mappa psichica” che aveva perso il suo carattere tridimensionale e si era appiattita in pochi concetti confusi.

E mi ritrovavo, al pari del nostro ipotetico viaggiatore, con un senso di amarezza, un macigno sul cuore, pensando a quante persone, desiderose di fare un “viaggio” nella psicologia, venivano invece guidate in una “gita” cui mancavano pezzi grandi almeno quanto l’Australia.

Del resto già il titolo, come dicevo, apriva interrogativi e criticità. “Liberarsi dell’ego” potrebbe sembrare positivo. Ma come psicologa e psicoterapeuta so bene che dobbiamo fare i conti con tutte le nostre strutture psichiche, nessuna esclusa, integrandole e imparando a gestirle al meglio, piuttosto che eliminandole (tentativo invece patologico). Perché in realtà “eliminare l’ego” (ammesso per assurdo che sia possibile) sarebbe un po’ come decidere di eliminare la luce invece di scegliere semplicemente di proteggerci dai raggi UV-A e UV-B: senza luce non c’è possibilità di vita, e neppure senza l’ego.

Il rischio è di trovarsi ad accogliere e seguire idee e indicazioni che invece di aiutarci ci fanno stare peggio.

Soprattutto quando si tratta di psicologia e di disagio, è necessario rivolgersi ad esperti, e non a chi si presenta come tale senza avere titoli e competenze, perché il rischio per la salute è dietro l’angolo.

Purtroppo non è facile distinguere per chi non è del settore, anche perché alla base di tutto ciò troviamo un meccanismo psicologico comune a tutti noi: l’illusione della conoscenza.

 

L’illusione della conoscenza

Gli psicologi Steven Sloman e Philip Fernbach hanno descritto nel libro “L’illusione della conoscenza” (2018) quel meccanismo in base al quale ci illudiamo di sapere molto più di quanto in realtà sappiamo.

Ne abbiamo tutti esperienza: quante volte parlando di politica, o del problema che un amico ha con la banca, abbiamo pensato che la soluzione fosse talmente ovvia che non capivamo come i politici, il nostro amico, l’impiegato, non potessero arrivarci. Poi però, analizzando a freddo e nel dettaglio il problema con la banca, i documenti mancanti, la difficile comunicazione con la filiale estera, ci rendevamo conto che il problema non era così semplice come sembrava, e la soluzione che ci appariva ovvia era in realtà illusoria.

Alcuni automatismi di pensiero sono utili e ci consentono effettivamente una gestione ottimale e rapida delle informazioni e della quotidianità, e solo in determinati casi andiamo ad analizzarne i dettagli. L’illusione della conoscenza è infatti caratterizzata da una capacità di schematizzare e semplificare che assomiglia molto all’intuito. Perché in fondo una gestione rapida e superficiale della quotidianità è sicuramente in molti casi utile e adattiva, ma non corrisponde ad una conoscenza approfondita.

Facciamo un esempio. Se vi chiedessi di spiegarmi come funziona lo sciacquone del bagno, probabilmente tutti più o meno sapreste farlo: si pigia il pulsante ed un flusso d’acqua trasporta quanto serve verso le fogne. Probabilmente raccontandolo, avete anche immaginato il vostro gesto quotidiano. Ma siamo così certi di conoscere veramente tutti i suoi meccanismi? Quanti di noi sarebbero in grado si spiegare il principio dei vasi comunicanti, o la struttura dello scarico, o il meccanismo che con il galleggiante regola il riempimento della vaschetta? Probabilmente pochi. Ma l’illusione della conoscenza ci aveva fatto credere inizialmente di saperne molto di più. Almeno finché non abbiamo voluto approfondire e farci qualche domanda.

Ritengo che l’illusione della conoscenza sia particolarmente insidiosa quando si tratta di psicologia.

Facciamo tutti i conti quotidianamente con la nostra psiche e con quella degli altri, con le emozioni, i disagi, i successi, le relazioni, e tutto ciò che risuona dentro di noi. E proprio questa quotidianità ci può portare a pensare di conoscere veramente e nel dettaglio funzioni e dinamiche psichiche che a volte sperimentiamo in noi stessi. Ma la psiche è molto complessa, e ciò di cui abbiamo direttamente esperienza è solo una piccola parte di ciò che accade. Un po’ come per lo sciacquone: conosciamo il funzionamento generale che attiviamo col pulsante e ciò consente di gestire la quotidianità, ma non sappiamo come funziona la teoria dei vasi comunicanti e ciò che sta dietro. E se si rompe preferiamo chiamare l’idraulico. Allo stesso modo sappiamo cosa sono le emozioni, e riusciamo a gestirle nella quotidianità, ma non sappiamo come si dispiegano complessivamente all’interno delle dinamiche psichiche. E in caso di necessità dovremmo chiamare un esperto: uno psicologo o psicoterapeuta.

Nessun essere umano può possedere tutte le competenze per svolgere qualunque impresa o attività. Inoltre con il progredire della scienza e della tecnica, le nozioni diventano sempre più complesse, e difficilmente avvicinabili con le semplici capacità “intuitive” del pensiero umano: richiedono invece sempre più quelle competenze “analitiche” di cui si entra in possesso solo dopo molti anni di studio. È allora possibile collaborare con persone che hanno queste competenze al fine di perseguire un obiettivo comune. Che si tratti di chiamare l’idraulico cui affidare l’obiettivo comune di riparare lo sciacquone o che si tratti di chiamare lo psicoterapeuta cui affidare l’obiettivo di stare bene, si tratta comunque di riconoscere il limite delle proprie competenze per potersi rivolgere ad esperti.

Ma quali sono gli esperti? Fondamentalmente quelli che hanno studiato la materia, che se ne occupano in modo professionale, che sono qualificati e riconosciuti ufficialmente come professionisti (e quindi riconosciuti da enti pubblici come gli Ordini Professionali e non con la sola iscrizione in elenchi autoreferenziali), e che quindi sono in grado di andare oltre l’illusione della conoscenza. Se devo fare un viaggio in Australia mi affido ad un esperto e non a chi certifica che la terra è piatta in base ai selfie fatti al mare sulla linea dell’orizzonte. Se devo riparare lo sciacquone non mi rivolgo al figlio del panettiere che in fondo ha sempre giocato con il Meccano. Se devo affrontare tematiche psicologiche non mi rivolgo ad un semplice scrittore che pubblica un articolo su un sito che, nonostante i temi trattati, non è gestito da uno psicologo ma da un ingegnere con una non meglio definita “passione per la crescita personale”. Affidarsi a chi ha una vera competenza professionale maturata con anni di studio e di attività è l’unico “antidoto” all’illusione della conoscenza, ed è anche e soprattutto un modo per tutelarsi e per tutelare la propria salute. 

Quindi quando si tratta di psicologia, invece di affidarsi a non meglio definiti “esperti in crescita personale”, “operatori olistici”, “counselor”, “consulenti filosofici”, ecc. che prendono più o meno a prestito alcune limitate parti di concetti psicologici, con il rischio di applicarle guidati dall'illusione della conoscenza più che da una conoscenza approfondita, è sempre meglio affidarsi ad un esperto qualificato che conosca questi concetti, che non li fraintenda, che non li applichi in modo parziale,  che abbia piena conoscenza della materia - psicologo o psicoterapeuta in base alle necessità - per poter arrivare così ad avere delle risposte corrette e mirate, riuscendo a muoversi su una mappa psichica finalmente completa, a cui non mancano (riprendendo la metafora) pezzi grandi quanto l’Australia.

E ora, buon viaggio!